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La rivoluzione sentimentale/2 (continua)

L'apprendistato umano in cui la provvisorietà esistenziale tende a combaciare con la precarietà del vivere

L'apprendistato umano in cui la provvisorietà esistenziale tende a combaciare con la precarietà del vivere

Il lusso non è sostenibile e allora vuol dire che serve barcamenarsi tra pubblico e privato, serve provare a farsi bastare i sentimenti, basteranno?
A leggere un altro libro, quello di un' autrice italiana, Viola Ardone, sembrerebbe di no, eppure il titolo di questo libro del 2016 è “Una rivoluzione sentimentale”, un titolo che fa già pensare al bisogno di equilibrio, alla sua ricerca, all'interno di un sistema sociale che non regge più il portato dirompente della realtà.
L' autrice per la sua ricerca utilizza come classe di riferimento i quarantenni, in pratica i trentenni di una volta, che a trenta anni avevano un lavoro e una famiglia, ma che oggi invece sono totalmente privi di punti di riferimento perché a quaranta anni, oggi, è tutto più complicato ma anche già risolto, chiuso e tutte le certezze "incamerate" non riescono a reggere alla prova dei fatti.​
E così questo libro per parlare ai quarantenni parte da altre due storie distanti dalla vita dell'autrice, e lontane da quelle di qualsiasi quarantenne contemporaneo, quasi a farsi coraggio, perché le due storie nutrono il libro stesso, e aiutano, la protagonista, ad affrontare la rivoluzione del quotidiano, rivoluzione del quotidiano cui la protagonista è chiamata dal suo lavoro di insegnante precaria, e borghese, all’estrema periferia della città.
Le storie parallele di cui narra sono, da una parte, quella di Zelda Sayre Fitzgerald - moglie dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, a sua volta scrittrice, e famosa sia per il suo essere spregiudicata, fu tra le prime Flapper, sia per la sua schizofrenia, la protagonista del libro si chiama Zelda, un tributo e un riscatto - dall'altra quella di don Milani con il suo "Lettera ad una professoressa" che rappresenta il modello educativo, ed il modulo anche stilistico di questo romanzo.
In pratica l'autrice tenta di ricomporre l’anima cattocomunista e borghese sua e di chi come lei deve barcamenarsi in una realtà che non riesce più a decifrare, e per farlo utilizza dei modelli consolidati.
Zelda, la protagonista del romanzo, è una donna che ha imparato a farsi male in ogni modo, perché allontanare il dolore per osservarlo con distacco è più semplice che attraversarlo, e così diventa anche più semplice per lei abbandonare il lavoro all'Università, per una cattedra a tempo indeterminato, all'estrema periferia di Napoli. Come diventa più semplice mantenere in piedi un rapporto di amicizia che sconfina in un sesso concordato (gli​ orari, i giorni, le abitudini) tra il suo compagno di studi che nel frattempo vede altre donne.
Apparentemente nessuno dei due soffre di questa scissione emozionale che non è una scissione emotiva, quella, l'emotività, è curata dal tiro di coca, quando il dolore e il vuoto sembrano irrompere nel quotidiano, semplicemente perché il loro rapporto si nutre di una condivisione intellettuale, un atto di estrema superbia e quindi castrante a livello affettivo, che comprende il racconto minuzioso delle loro vite distanti, come se raccontarsi del sesso con gli altri, fosse un modo di tenersi in pugno, senza decidere.
E così Zelda percorre in Vespa la città, la osserva sempre mantenendo una membrana a protezione del sé.​
“In dieci anni le cose erano cambiate e lei aveva voglia di qualcosa che modificare la sua vita bianca come una lavagna su cui poteva cancellare con la stessa velocità con cui scriveva. Aveva voglia di rivoluzione” .
Solo che le scuole di periferia, con il degrado delle discariche, e la difficoltà di vivere di tutti, non bussano alla sua porta, né la lasciano vivere sospesa, come lei è abituata a fare da sempre, anche a causa di una madre assente, prima, e poi sprofondata nel non ricordo di una malattia, che la tiene chiusa e distante ancor di più in una clinica privata, dove lei va a trovarla, e dove le parla come mai aveva fatto.
Zelda scrive anche, e ogni capitolo del suo romanzo segue questo doppio/triplo filo, fino a quando la correzione dei saggi brevi, saggi brevi in cui i suoi allievi si cimentano per il saggio di fine anno, prendono la forma della lettera a lei, una citazione e un tributo a don Milani.
E così se da una parte la ricerca di senso attraverso le relazioni con gli altri, gli uomini in particolare, appare difficile e quasi impossibile, dall'altra la possibilità di sporcarsi le mani senza tenerle in tasca sembra l'unica forma possibile di riscatto,​ di rivoluzione, visto che c'è una totale ibridazione delle classi, al punto che, l'unico modo, per prendere davvero coscienza di sé, è capire che ormai siamo ben oltre il terzo stato, e che a poco serve fare finta di amare, di costruire scatole e "involucri" sociali per nascondersi e perdersi con la codarda convinzione che poi ci tutto si aggiusterà.
Il libro dunque ben spiega come oggi la condizione delle donne e degli uomini sia difficile per l'impossibilità di potersi mettere a nudo e di potere davvero condividere con l'altro da sé vita, lavoro, sentimenti, sogni, in pratica quello che ne esce fuori è il quadro desolante di un perenne apprendistato umano, apprendistato umano in cui la provvisorietà esistenziale tende a combaciare con la precarietà del vivere, poi che ci siano delle forme e delle possibilità di riscatto per qualcuno è possibile ma mai risolutivo, da qui l'esigenza pure delle rivoluzioni, rivoluzioni che hanno preso il posto delle certezze
( 2 - continua )

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