Cerca

L'intervista

L'uomo dietro l'emergenza: dialogo con Francesco Carè, il divulgatore di sicurezza

L'uomo dietro l'emergenza: dialogo con Francesco Carè, il "divulgatore di sicurezza"

Francesco Carè

Francesco Carè, dalla Provincia di Verona, classe '66 a partire dall'inizio degli anni '90 frequenta, da volontario, un primo corso per soccorritori di ambulanza. Successivamente, come egli stesso ha tenuto a sottolineare, «è diventata una vera e propria passione». Carè inizia a prestare la sua opera da autista soccorritore e questa esperienza dal volontariato si è trasformata successivamente in un lavoro con l'assunzione nel settore del trasporto e dell'emergenza/soccorso. 27 anni di servizio attivo, 27 anni di storie talvolta a lieto fine, talvolta drammatiche. Accanto a questo percorso professionale Carè diventa "divulgatore di sicurezza", non solo con la sua attivissima pagina Facebook https://www.facebook.com/FrancescoCareFanpage
ma anche e soprattutto per il suo impegno nelle scuole in ambito di progetti sulla sicurezza stradale e con la stesura di alcuni libri

Carè è un soccorritore e non solo. "Dall'alba al tramonto vite vissute in emergenza" è l'ultimo di una serie di libri, come è nata l'esigenza di iniziare a scrivere?


«Nel 2016 ho scritto "Angeli sconosciuti. Diario di un soccorritore di ambulanza", una auto pubblicazione. Nonostante non fossi sponsorizzato da alcuna casa editrice ha riscontrato un successo non indifferente e per questo motivo nel 2018 è arrivato "Codice Quattro. Oltre questo solo il silenzio". Nel primo raccontavo fatti avvenuti durante il servizio e vissuti direttamente da me. Nel secondo andavo a raccogliere testimonianze di chi aveva vissuto un incidente stradale oltre a numerose esperienze di colleghi. Il successo è stato notevole ed è nato, infine, "Dall'alba al tramonto vite vissute in emergenza" con l'onore della prefazione di Giuseppa Cassaniti, presidente nazionale dell'Associazione italiana familiari e vittime della strada. Si tratta di testimonianze di miei colleghi, la testimonianza di una donna che ha avuto la sfortuna di investire - per alcune particolari situazioni - un bambino, la testimonianza del mio ex capo squadra di Protezione Civile durante i soccorsi prestati a L'Aquila nei giorni del terremoto e la testimonianza di un sopravvissuto ad un brutto incidente stradale che - purtroppo - è rimasto paraplegico. Si tratta di storie certamente dure, ma che hanno la finalità di sensibilizzare sui pericoli della strada, sui corretti comportamenti da adottare al volante, accendendo in via generale i riflettori sul mondo del soccorso che ha segnato in maniera indelebile la mia vita. Questi libri, quindi, sono nati dall'idea e dall'esigenza di fare prevenzione e di raccontare storie. Mi rivolgo in primis ai giovani, avvalendomi, come nel caso del mio impegno nelle scuole in Veneto, anche di immagini o video relativamente crudi».


Quando si arriva sul luogo di un incidente stradale, quale meccanismo psicologico si innesca nella mente di un soccorritore?

«Io parlo in base alla mia esperienza, posso dire che in due occasioni in particolare ma sarebbero molte di più, ci si sente impotenti perchè si riconosce tutta la fragilità umana davanti a situazioni molto grandi che non possono essere facilmente gestite e governate. Si riflette sul momento in quanto tale ma soprattutto sul dopo. Spesso i genitori o comunque i familiari arrivano durante le operazioni di soccorso sul luogo dell'evento e sono momenti difficili. Bisogna portare in primis estremo rispetto per la vittima o per le vittime e poi ai parenti che vorrebbero inginocchiarsi accanto al corpo del figlio, della figlia, del nipote ... Molte volte si pensa che quando noi soccorritori arriviamo sul luogo dell'incidente e durante il soccorso, ci sia da parte nostra distacco e freddezza: non nego che è spesso così. Si tratta di una necessità per tutelare in primis noi e l'attività che dobbiamo svolgere che richiede la massima attenzione e lucidità. Nonostante ciò portiamo a casa dei pezzetti di storie, il dolore e la disperazione, i silenzi e le lacrime. Il soccorritore non resta indifferente davanti a determinate immagini e in un secondo momento riflette ed elabora, in primis, se si poteva fare di più. Se la macchina del soccorso è stata tempestiva, se è stato fatto il possibile o se sono stati commessi errori. Nel 2015 ho avuto un momento di stop in quanto mi è stato riscontrato il burnout, nei soccorritori purtroppo è frequente. Sono esperienze che segnano la nostra vita perché capita di assistere ad immagini estremamente forti. In gergo tecnico si parla di "marasma" ovvero di situazioni in cui l'evento stradale è stato molto violento, nelle lamiere noi soccorritori non possiamo fare purtroppo nulla e i Vigili del fuoco con le pompe funebri collaborano per cercare di capire a chi potrebbe appartenere una mano o una gamba, si mescola tutto. A volte le ossa si disintegrano e i corpi dei soggetti si provano a ricomporre in base ai colori degli abiti e ai parenti vengono fatti vedere oggetti personali rinvenuti sul luogo perché il resto non si può identificare».


Le immagini degli incidenti stradali, il dolore e la disperazione, in qualche modo hanno influenzato anche il suo modo di approcciarsi all'automobile?


«Certamente. È importantissimo - e lo faccio in prima persona in maniera scrupolosa - monitorare periodicamente pneumatici e freni. Ma anche elementi che potrebbero essere ritenuti erroneamente di secondaria importanza. I tergicristalli ad esempio. Oltre ad avere uno stile di guida attento, prudente e rispettoso del codice della strada. Spesso ci si trova a fare i conti anche con una segnaletica non ottimale o con le condizioni di un asfalto che pecca di scarsa manutenzione. Mi è capitato, non molto tempo fa, di giungere sul luogo di un incidente e rilevare successivamente con l'ausilio della Polizia stradale che gli pneumatici dell'auto che si era schiantata contro una ruspa nei pressi di un cantiere erano sostanzialmente nuovissimi, forse sostituiti poco prima. Pneumatici che di fatto avevano pochi Km di vita e che avevano ancora quella sorta di patina che poi normalmente va via con la primissima usura. È stato ipotizzato che abbiano - a velocità elevate - perso di aderenza essendo appunto nuovi di fabbrica. Si desume come davvero bisogna prestare sempre attenzione, rispettare i limiti di velocità, utilizzare le cinture di sicurezza ed evitare ogni forma di distrazione fermo restando il tassativo divieto di fare uso di sostanze stupefacenti e non mettersi alla guida se si è in stato di alterazione psicofisica da abuso di alcolici».

A partire dall'età scolastica viene nelle scuole dedicata la giusta attenzione alla sicurezza stradale?


«Purtroppo nelle scuole viene dedicato poco spazio e poca attenzione a questa delicata tematica. Talvolta quando vengono sviluppati progetti di educazione stradale, come quelli che mi hanno visto protagonista, le ore di sensibilizzazione vengono viste come un momento per evitare un compito in classe o l'interrogazione a sorpresa. Mi è capitato di approcciarmi in un contesto scolastico dove inizialmente c'era poco interesse al tema, tra chiacchiericcio e disordine. Dissi, rivolgendomi ai ragazzi: chi di voi non ha perso una persona, amico o parente che sia per un evento stradale alzi la mano. Nessuno ha alzato la mano. Oltre 200 persone e tutti avevano vissuto direttamente o indirettamente una vicenda traumatica. È stata una situazione da pelle d'oca. Ho quindi premesso che chi poteva facilmente impressionarsi era libero di abbandonare l'aula ed ho fatto vedere immagini e videogrammi di incidenti stradali, del "marasma" (ndr). Scene crude, forti, sicuramente non adatti per chi è particolarmente sensibile ed ho detto: questo è quello che succede, la vita è una sola. A poco a poco ho iniziato ad avvertire interesse e a fare la mia opera di divulgazione, sperando di aver lasciato loro qualcosa. È capitato di ricevere apprezzamenti da qualche giovane che mi ha detto di aver iniziato a prestare più attenzione con il motorino dopo aver ascoltato la mia lezione, è stata la soddisfazione più grande».

Le è capitato di incontrare o di essere contattato da qualcuno al quale ha prestato soccorso o al quale ha salvato la vita?


«Mi è capitato di essere riconosciuto un pò di tempo dopo un intervento con il quale fortunatamente abbiamo salvato un uomo e di ricevere apprezzamenti e ringraziamenti. Ho provato imbarazzo, perché non sapevo come comportarmi e in sincerità non ricordavo neppure l'evento specifico, poi la moglie di questo uomo ha fornito ulteriori elementi per rinfrescare la memoria. Si trattava di un intervento domestico. Questo uomo era stato colto da un arresto cardiaco, stavamo operando in emergenza totale in una stanza di appartamento piccola, scomoda, faceva caldo, eravamo in attesa dell'auto medica. Abbiamo iniziato il massaggio cardiaco, è stato faticoso anche perché un massaggio cardiaco più durare anche 40 o 50 minuti. Non è assolutamente semplice. Quando ci siamo resi conto che l'uomo provava ad avere atti respiratori propri e dal monitor risultava un segno di frequenza cardiaca abbiamo realizzato che forse avevamo evitato il peggio. In quel preciso istante mi è venuta una domanda spontanea, ho detto: dove stato fino adesso? Cosa c'è nel momento in cui un corpo seppur per poco tempo è privo di anima?».

https://store.streetlib.com/search-results-page?q=angeli%20sconosciuti&fbclid=IwAR0kTnZURo7gFC1L3_k3nlGO2X36VgfdAz4yfVwcNFxhah-1-N9tQd02vhU

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione