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C'è chi canta in Tv e chi si occupa di scienza, Mularoni (Ismett) e gli anticorpi monoclonali per i pazienti trapiantati

Esperta di infettivologia del trapianto, è la prima donna italiana e l’unico medico del nostro Paese che da quest’anno fa parte della società “Transplant Infectious Disease”: Alessandra Mularoni, infettivologa dell’Ismett di Palermo. «Il Covid ha travolto noi come tutti gli altri ma adesso a brevissimo ci sarà anche la possibilità di dare gli anticorpi monoclonali ai pazienti trapiantati che non hanno risposto al vaccino. Attendiamo l’autorizzazione»

C'è chi canta in Tv e chi si occupa di scienza, Mularoni (Ismett) e gli anticorpi monoclonali per i pazienti trapiantati

Alessandra Mularoni

È la prima donna italiana e l’unico medico del nostro Paese che da quest’anno fa parte della società “Transplant Infectious Disease”: è Alessandra Mularoni, infettivologa dell’Ismett di Palermo. La TID è una società che fa parte della TTS “The Transplantation Society”, organizzazione non governativa in relazioni ufficiali con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, composta da circa 6.000 professionisti sanitari residenti in 105 Paesi del mondo. La TID è stata costituita alla fine degli anni ‘90 per la crescente importanza di formare specialisti nel campo della infettivologia del trapianto. La sua missione è quella di promuovere la ricerca e la formazione nel campo della prevenzione, diagnosi, gestione clinica delle complicanze infettive nei riceventi di trapianto. Nel corso di una interessante intervista rilasciata alla testata online insanitas.it a cura di Sonia Sabatino, affronta numerose tematiche, dalla “Infettivologia del trapianto” ai pazienti Covid. «Nel trapianto di organo solido - dice Mularoni - le infezioni sono la prima complicanza perché i pazienti trapiantati di organo, allo scopo di evitare il rigetto, assumono la terapia immunosoppressiva che appunto riduce la sorveglianza immunologica, però questa terapia è necessaria perché l’organismo del paziente potrebbe riconoscere l’organo trapiantato come un corpo estraneo. Noi somministriamo una terapia che si chiama antirigetto o terapia immunosoppressiva perché sopprimiamo il sistema immunitario allo scopo di ridurre questa attività del sistema immunitario per evitare il rigetto verso l’organo. Questa terapia ha l’effetto collaterale di ridurre la sorveglianza immunitaria contro le infezioni per questo nel paziente trapiantato sono la prima complicanza. Pertanto soffrono di infezioni che sono le riattivazioni di infezioni latenti come ad esempio l’Herpes o il citomegalovirus e hanno anche delle infezioni più particolari o strane, di cui normalmente le altre persone non si ammalano». «Per fortuna - prosegue - la nostra attività trapiantologica non ha risentito tantissimo della pandemia Covid, perché la Sicilia è stata colpita soprattutto nella seconda ondata in cui c’era già qualche strumento per poter combattere il Coronavirus. I primi tempi sono stati però sicuramente durissimi, perché noi non potevamo visitare i pazienti, dovevamo dire loro di stare a casa e non venire in ospedale, ed è stato terribile perché abbiamo ritardato delle diagnosi. Tutto ciò ha peggiorato l’assistenza anche se in realtà noi avevamo già in uso un servizio di telemedicina, che ci ha permesso di mantenere un contatto stretto con i pazienti. Adesso invece, seppure dobbiamo stare sempre attenti, abbiamo comunque una speranza che è quella della vaccinazione, infatti, abbiamo visto che con la terza dose i pazienti trapiantati rispondono al vaccino, anche se meno rispetto a chi non soffre di patologie. Tra l’altro i nostri pazienti trapiantati sono molto attenti, per cui curarli è molto soddisfacente perché sono i primi che vengono a farsi vaccinare, ci tengono molto. È chiaro che il Covid ha travolto noi come tutti gli altri ma adesso a brevissimo ci sarà anche la possibilità di dare gli anticorpi monoclonali ai pazienti trapiantati che non hanno risposto al vaccino. Attendiamo l’autorizzazione». Per Mularoni: «È possibile infondere i monoclonali che danno protezione fino a sei mesi, quindi si fa un’immunizzazione passiva e non attiva come quella del vaccino. Infatti con il vaccino si dà una proteina del virus e aspettiamo che il sistema immunitario risponda. Nei pazienti - conclude - che non riescono a dare una risposta perché sono sotto terapia immunosoppressiva, l’immunizzazione può essere anche passiva somministrando gli anticorpi monoclonali in pre-esposizione, una terapia preventiva insomma».

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