Cerca

Società

Il difficile mestiere dell’assistente sociale: un ruolo fondamentale nel supporto e nella prevenzione

Il difficile mestiere dell’assistente sociale: un ruolo fondamentale nel supporto e nella prevenzione

Per molto tempo, la figura dell’assistente sociale ha subito umiliazioni e pregiudizi senza che le fosse riconosciuto il fondamentale ruolo in ambito sociale. Non è più tempo di disumanizzare una funzione tanto delicata quanto preventiva. Ne parliamo, anche in occasione della Giornata Internazionale sulla Violenza di genere del 25 Novembre, con Arianna Ilardi, assistente sociale da tempo occupata nella grande impresa della valorizzazione della donna e gestione delle problematiche familiari.

La figura dell’assistente sociale è spesso guardata con timore e pregiudizio, eppure rappresenta un grande supporto per le donne, soprattutto in termini di prevenzione. Cosa ne pensa lei a riguardo?

«La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stata fondata partendo dal concetto che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Questo giorno ci imprime il ricordo di impegnative conquiste, ma anche discriminazioni e violenze intollerabili, di cui noi donne siamo ancora oggetto. Quotidianamente, compio un grande sforzo per detenere le distanze da ciò che esamino, dal contesto in cui lavoro, in quanto essendo un’assistente sociale, uno dei miei primi obiettivi è sostenere le donne, accompagnandole nel loro “percorso alla libertà”, restando fedele deontologicamente alla professione e soprattutto alla Verità, prima arma per combattere qualsiasi tipo di discriminazione. Tuttavia, mantenere le distanze da alcune situazioni non è facile, subentrano le emozioni e quelle non riesci sempre a padroneggiarle. Il mio sostegno, quindi, non è scisso ma contiene in se, professionalità e umanità».

Quali sono gli obbiettivi che lei ha, come donna per le donne, nella sua professione?

«Vorrei imprimere in loro la libertà di essere ciò che vogliono, l’importanza di non permettere a nessuno di umiliarle. Ma cosa ancora più importante, l’imparare a chiedere aiuto, perché nessuna donna si senta sola. Dobbiamo partire da un’educazione all’amore, per valorizzare noi stesse, prima che l’altro. Dobbiamo guardare con orgoglio alle nostre cicatrici, come simbolo di rinascita e ritrovarci, dopo esserci perse, anche se questo implica un percorso doloroso. La libertà è dentro ciascuna di noi, anche se a volte non la sentiamo più nostra. Mi rendo conto che nel mio lavoro non potrò mai ridarla a chi l’ha persa, ma potrò accompagnarle in questo difficile cammino di cui ne sono stata io prima protagonista. Neanche io potrò darla a chi l’ha persa, posso solo accompagnarle in questo difficile cammino. Anche a me, in prima persona, come donna, l’hanno tolta quella libertà a cui tanto ambiamo, ma non per questo ho smesso di crederci. Essere una buona assistente sociale, significa essere una speranza per l’altro, una fonte inesauribile di coscienza, attraverso la quale si accompagna l’utente verso un “domani” sereno, attraverso un percorso di “non arresa”. Essere una buona Assistente sociale significa essere “umana” oltre che professionale, due elementi fondamentali nel percorso di un professionista. Bisogna mantenere con l’altro la dimensione dell’umanità, dell’ascolto e dell’empatia, pur sempre con una certa preparazione alle spalle, avendo con sé tutti gli strumenti professionali possibili, tenendo sempre fede al proprio codice deontologico, fulcro principale per guidare il professionista e tutelare l’utente. Le difficoltà ci sono, questo è un dato di fatto, ma è necessario avere fiducia ed essere mossi da una vocazione, una passione senza limiti”.

Qual è, invece, il suo approccio nei confronti di un uomo violento?

«Bisogna offrirgli un valido supporto affinché prenda “consapevolezza” del suo comportamento, per condurlo alla consapevolezza interiore dove possa affermare: 'ho il diritto di arrabbiarmi, di avere una convinzione diversa, di sentirmi offeso, non compreso, ma ho il dovere di gestire in modo adeguato e non violento quello che provo e quello che penso'».

Seppur verso la figura dell’assistente sociale ci sia ancora molta ostilità, cosa le fa credere così tanto nella sua professione?

«Quando mi viene chiesto perché ho scelto di essere un’assistente sociale, le risposte sono tante, forse troppe. Sentirmi come fautrice di un cambiamento nell’altro, seppure minimo, sentirmi riconosciuta come professionista di sostegno, mi aiuta a sperare che questo mondo può cambiare, se ciascuno di noi dona un piccolo fiammifero di luce nell’altro. Ci sono giorni per me, fatti di tristezza per il mutarsi di alcuni casi, ma il gioco della mia professione risiede proprio nel vivere questi momenti, senza disconoscerli. Il nostro lavoro risiede proprio nel ricucire i pezzetti rotti dell’animo umano, di costruire una risposta adeguata. Sogno un mondo senza violenze, senza abusi, dove una donna possa sentirsi tranquilla camminando per strada, senza doversi necessariamente guardarsi le spalle, dove un bambino possa vivere la spensieratezza che caratterizza l’età della fanciullezza. E se io, nel mio piccolo, posso essere una piccola fiammella di luce nell’animo altrui, continuerò a farlo, augurandomi che tutte le figure professionali dell’ambito sociale, non mollino, ma lottino, anche se viviamo in un sistema che non sempre protegge la nostra persona».

«Alle donne che lottano per cambiare le cose.

Alle donne desiderose di aiuto e di comprensione.

A tutte quelle donne dimenticate.

Alle donne che non si arrendono mai».

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione