IL MATTINO
21.09.2021 - 11:08
Nella basilica di San Paolo fuori le Mura i fotografi e le telecamere erano tutti per il piccolo Martin Fortunato che indossando il basco amaranto dei parà, sugli attenti, salutava il feretro del padre
Ricorre oggi, 21 settembre, la "Giornata internazionale della pace", istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 36/67 del 30 novembre 1981: la polveriera afghana è al centro del dibattito internazionale e i rischi di un Afghanistan profondamente instabile rappresentano un problema non solo per il pericolo di un islam ancora più militante e armato. Il nuovo governo talebano, guidato da Hasan, nella lista dell’Onu di persone indicate come "terroristi o associati a terroristi" ha "ritenuto necessario impedire alle donne di lavorare per un po", ha spiegato nelle scorse ore Hamdullah Nomany, sindaco di Kabul, dove circa 3mila impiegati comunali sono donne. È questa, in ordine di tempo, la notizia più recente che giunge dall'Afghanistan. Alle donne, con istruzione e sport viene - di fatto - annullato anche il diritto al lavoro. «Ci sono 14 milioni di afghani che secondo i nostri parametri vivono in stato d'emergenza, 4 milioni versano in situazione ancora peggiore . Ciò rappresenta divari estremi nel consumo di cibo, livelli molto elevati di malnutrizione e eccesso di mortalità» è il monito lanciato da Rein Paulsen, direttore della Fao. La crisi umanitaria c'è ed avanza a passi spediti, parallelamente alla regressione democratica e significativa è l'analisi dei 20 anni di cooperazione italiana del medico Arif Oryakhail, evacuato con lo staff dell'Aics (Agenzia Italiana Cooperazione allo Sviluppo): «Sono state fatte cose straordinarie in campo sanitario. Quando siamo arrivati solo il 7 per cento della popolazione aveva accesso al servizio sanitario, quando siamo andati via il 57 per cento con punte dell’80», ma ci sono stati anche tanti errori: «Hanno investito l’80 per cento dei soldi in armi ed esercito che si è sfaldato in 48 ore, avessero investito sulla popolazione oggi sarebbe diverso. Si vede anche dalle manifestazioni delle donne. Ma ora non si chiuda il capitolo Afghanistan, c’è una crisi umanitaria in atto, dobbiamo tornare là». Se la situazione è grave nella capitale, è assolutamente drammatica nelle periferie e nelle zone più remote e rurali del Paese: «Nella provincia di Helmand, il primo giorno di riapertura dell’unità di alimentazione terapeutica tutti i letti sono stati subito riempiti ricoverando dieci bambini in stato di malnutrizione acuta grave. Si tratta di un dato che testimonia, più di tutti, quali possano essere le conseguenze di questa situazione. Non solo. Gran parte della popolazione non ha accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici di base. I bisogni sono enormi e gravano in maniera preponderante sull’assistenza umanitaria», dice Simone Garroni, direttore generale di 'Azione contro la Fame', organizzazione umanitaria internazionale specializzata nella lotta contro le cause e le conseguenze della fame. Il 21 settembre ricorre, per il nostro Paese, anche un altro anniversario: dodici anni fa nella basilica di San Paolo fuori le Mura si celebravano i funerali di Stato dei sei parà della Folgore caduti a Kabul il 17 settembre del 2009. Mezzogiorno era passato da poco quando a pochi passi dall’aeroporto nell’esplosione di una Toyota Bianca imbottita con 150Kg di tritolo lanciata a tutta velocità contro il convoglio militare italiano che stava rientrando al quartier generale, persero la vita i sei paracutisti Matteo Mureddu, Giandomenico Pistonami, Massimiliano Randino, Roberto Valente, Davide Ricchiuto, guidati tenente Antonio Fortunato, originario di Tramutola in provincia di Potenza, che prese già parte alle missioni in Bosnia e in Libano. Il bilancio poteva essere peggiore, altri quattro commilitoni rimasero feriti ma riuscirono a mettersi in salvo. Non è mai stato chiarito se il vero obiettivo fossero i militari italiani o le ambasciate straniere presenti nella capitale. A dimostrarlo sarebbe l’ingente quantitativo di esplosivo utilizzato, ben superiore rispetto a quanto viene normalmente impiegato per gli attacchi ai convogli militari. Quel 21 settembre a rendere omaggio ai caduti e ad ascoltare l'omelia dell'ordinario militare, monsignor Vincenzo Pelvi, c'erano il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Presidente emerito Scalfaro, il premier Berlusconi, i presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, i ministri Meloni, Brunetta, Tremonti, Frattini, Alfano e La Russa, i vertici militari ed una delegazione dei familiari delle vittime di Nassiriya. Le massime cariche dello Stato, le madri, i padri, le mogli, le compagne e tanti, tantissimi paracadutisti in congedo e veterani al grido di "Viva la Folgore". I fotografi e le telecamere, invece, erano tutte per il piccolo Martin, figlio del tenente Fortunato, che con un fazzoletto in mano per asciugare le lacrime ed indossando il basco amaranto dei parà, sugli attenti, salutava il feretro del padre caduto in Afganistan in una missione di pace. A dodici anni da quel saluto che ha commosso il Paese intero, ha avuto un senso morire per una Kabul libera e laica? I genitori del maresciallo Lorenzo D’Auria, agente del Sismi (ora Aise), inviato in Afghanistan nell’ambito della missione Isaf, caduto nel 2007 a Farah non hanno dubbi: «Anni di guerra andati a vuoto, nostro figlio è morto per niente».
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