IL MATTINO
Diritti
13.04.2021 - 11:15
A sancire il diritto all’aborto fu la storica legge 194, datata 22 maggio 1978. Sono trascorsi da allora più di quarant’anni ed è un caso emblematico di come la conquista di un diritto, troppo spesso, possa divenire una goccia in mezzo al mare, a cui deve far seguito una seconda battaglia, più estenuante, ovvero il vedere applicata la legge. Il pericolo è che degli sforzi di chi si è riversato nelle piazze, per dare voce ad una richiesta collettiva, possano restare solo suggestivi scatti in bianco e nero di donne di ogni estrazione sociale, con in mano lunghi striscioni. Un’immagine non lontana dall’attualità se si pensa alle grandi manifestazioni che si sono organizzate in Polonia contro il divieto di aborto nell’ultimo periodo. Negli ultimi mesi qualcosa di disatteso sta accadendo a Matera, dove una qualsiasi donna che decida di esercitare il suo riconosciuto diritto di interrompere una gravidanza si ritrova costretta, nel mare magnum delle restrizioni di quel momento, a spostarsi dal suo comune di domicilio verso la città di Potenza. Il Mattino ha ascoltato il punto di vista di una delle fondatrici del Collettivo Donne Matera, Teresa Ambrico. Si ricorda che è stato il Collettivo, diretto da Chiara Prascina, solo pochi giorni fa, a sollevare l’allarme ― si compone di un gruppo di cittadini, fra cui anche uomini; un esempio positivo e tangibile di partecipazione attiva del genere maschile in battaglie e disagi che solo apparentemente appartengono esclusivamente alle donne.
Impossibilità di aborto per le donne a Matera. Di chi è la responsabilità? Chi ha chiuso le porte all’applicazione della legge 194?
«Il tema è riducibile a una questione veramente economica, di strategia e di volontà aziendali e di taglio delle risorse e dei fondi. In Italia l’obiezione di coscienza è estremamente diffusa ― è noto che in Basilicata si spinge oltre il 90 per cento ― ed è un ostacolo all’applicazione della legge 194. Le aziende devono, però, intervenire e garantire, così come sancito dalla legge, l’interruzione volontaria di gravidanza e per farlo hanno bisogno delle risorse necessarie per stipulare convenzioni esterne e ricercare medici non obiettori, anche al di fuori della Regione Basilicata. La convenzione, però, non viene fatta e, ad oggi, tutti i servizi si concentrano nella città di Potenza. A Matera il consultorio non nega un servizio, semplicemente non è nelle condizioni di poter applicare l’interruzione volontaria di gravidanza. Abbiamo contattato il medico della struttura, obiettore, che però riconosce il diritto di accesso alla 194 ed è quindi consapevole che esista una mancanza».
La pandemia mondiale ha avuto il suo peso sulla questione?
«Secondo noi no. Ci sono delle alternative, c’è l’aborto farmacologico, che nel 2020 veniva praticato a Matera. Quest’anno, dal primo gennaio 2021, il non rinnovo della convenzione impedisce sia l’aborto chirurgico che il farmacologico».
Il Collettivo si lancia in una nuova sfida.
«Ad oggi ci poniamo come nuova battaglia la ricomposizione dei consultori, che secondo noi negli anni, per questioni puramente economiche, sono stati sviliti. I consultori un tempo erano luoghi di libero accesso per le donne e trattavano tutta una serie di temi: la contraccezione, l’interruzione volontaria di gravidanza, la sessualità e la famiglia. La pandemia ha dimostrato che la sanità territoriale, smantellata negli anni, sarebbe potuta essere un valido supporto alle persone. Miriamo a ripristinare i consultori ― la legge ne prevede uno ogni 20 mila abitanti ― e a ricondurre all’origine il loro sistema di servizi. Vogliamo coinvolgere tutta la cittadinanza e abbiamo già contattato il sindaco di Matera Domenico Bennardi e il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi». Se è doveroso rispettare la personale posizione degli obiettori e anche vero che ci si aspetta un intervento che arresti, il prima possibile, il proseguimento di un abbandono sanitario, che potrebbe degenerare, nella peggiore delle ipotesi, nel così detto aborto fai da te.
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