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La salute dei piccini

La sintonizzazione affettiva tra genitori e figli: «Il nucleo del nostro Sé è la rappresentazione di come siamo stati visti da chi è altro da noi»

«Consiste nella capacità del genitore di dedurre lo stato interno del bambino a partire dal suo comportamento e nella successiva capacità del bambino di capire che la risposta del genitore riflette proprio quel suo stato interno»

La sintonizzazione affettiva tra genitori e figli: «Il nucleo del nostro Sé è la rappresentazione di come siamo stati visti da chi è altro da noi»

Il nucleo del nostro Sé è la rappresentazione di come siamo stati visti da chi è altro da noi. Oggi
vorrei partire da quest’affermazione riportata da Renata Tambelli (psicologa e psicoanalista) nel suo
libro Psicologia Clinica dell’età evolutiva. Sappiamo ormai quanto la sintonizzazione affettiva,
definita così dallo psichiatra e psicoanalista Stern, sia fondamentale per uno sviluppo sano del
bambino. Essa consiste nella capacità del genitore di dedurre lo stato interno del bambino a partire
dal suo comportamento e nella successiva capacità del bambino di capire che la risposta del
genitore riflette proprio quel suo stato interno. Potrebbe essere confusa con l’empatia che è, in
effetti, molto simile. Tuttavia, quando entriamo in empatia con una persona, non regoliamo
l’intensità emotiva del vissuto che sta condividendo con noi. Lo capiamo, lo com-prendiamo ma
non ne stiamo modificando l’intensità. La sintonizzazione affettiva, invece, prevede non solo
l’individuazione e il riconoscimento dell’e-mozione per cui il bambino si sta comportando proprio
in quel modo, ma anche la sua regolazione. Vi è mai capitato di vedere un bambino che, nel bel
mezzo del supermercato, si siede per terra, iniziando a dimenarsi e ad urlare? Un adulto potrebbe
prenderlo in braccio, provare a capire cosa sta cercando di comunciare con il suo comportamento e
consolarlo; oppure, potrebbe arrabbiarsi, alzare un po’ la voce e affidare a qualche sculacciata la sua
interruzione. Sono entrambe modalità di regolazione ma la prima tiene conto dello stato emotivo del
bambino, di ciò che ha motivato il suo comportamento che è, perciò, dotato di emozioni e intenzioni
nella mente del genitore; la seconda, invece, è unicamente focalizzata sul comportamento e sulla
dicotomia giusto/sbagliato. È probabile che la sculacciata sia una modalità con cui il genitore
regola una sua emozione troppo forte ed intensa non riconosciuta quando era lui stesso un bambino
e per la quale non ha appreso altre modalità di gestione. Il nostro saper riconoscere uno stato
interno, infatti, non è innato ma dipende dalla capacità dell’adulto di restituirlo con minore o
maggiore intensità, aiutandoci a regolarlo: è così che iniziamo a conoscere quello che sentiamo ed
impariamo la modalità per gestirlo. Sono molto lontana dal voler giudicare il genitore che ricorre
alla sculacciata, anzi, è forse proprio in questo secondo genitore che risiede la ragione
dell’affermazione della professoressa Tambelli: noi, tutti noi diventeremo adulti in grado di pensare
gli altri (e i nostri figli) in forma di desideri, emozioni, credenze e intenzionalità proprie soltanto se
prima di tutto noi saremo stati visti e riconosciuti come bambini con desideri, emozioni e credenze
proprie. Il Professor Provence disse ad una madre, a proposito di un comportamento del figlio per
lei incomprensibile: non fare subito una cosa qualsiasi. Stai lì, ferma e presta attenzione. Il bambino
sta cercando di dirti qualcosa.

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