IL MATTINO
Salute
06.10.2020 - 19:25
“Quando non c’è speranza di salvezza, dove la morte non porta compimento, lì cosa c’è? In che paese siamo? Quello è il dolore e noi lo attraversiamo”. Scrive questo Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, nel suo libro Diagnosi e Destino. Ho letto questi versi e me ne sono innamorata perché, nella loro semplicità, restituiscono un’idea con cui non sempre siamo pronti a fare i conti: arrendersi alla vita, alle sfide che ci pone davanti, abbandonare la pretesa di un controllo. Arrendersi nel senso di accoglierla, lasciare che accada. Il dolore ci coglie impreparati e tutto quello che noi possiamo fare è attraversarlo. Raccogliere tutte le risorse che abbiamo e, semplicemente, passargli attraverso. A questo proposito, vorrei oggi parlarvi delle fasi che attraversiamo, appunto, quando ci troviamo di fronte alla perdita di una persona per noi importante, che sia per la sua morte o per la fine di una relazione sufficientemente duratura. Ognuna di queste situazioni ha le sue specificità ma, a grandi linee, è attraverso queste fasi che avviene l’elaborazione di quella che viviamo come perdita o una sua minaccia. Bowlby, psichiatra e psicoanalista britannico, noto per aver elaborato la Teoria dell’attaccamento (che sottolinea la propensione a stringere relazioni emotive intime come una componente di base della natura umana), ha considerato le reazioni emotive alla morte di un partner adulto come il “prototipo del lutto” e pertanto come un modello di base delle reazioni al sentimento di perdita più generale. Nel caso di una diagnosi di tumore, questo sentimento è centrale, sia per il paziente che per i familiari. Quando il paziente è un bambino, le prime persone a cui viene comunicata la diagnosi sono i genitori che, come anticipato, vivono una prima fase definita di stordimento e di incredulità, a cui segue una fase di struggimento e di rabbia: quest’ultima diventa un vero e proprio organizzatore emotivo volto alla ricerca di una colpa, di un responsabile, nell’illusione di assumere il controllo sulla situazione. La terza fase è quella della depressione o della disperazione, in cui la sofferenza emotiva raggiunge il culmine per lasciare spazio, poi, ad una graduale accettazione della perdita avvenuta e alla consapevolezza che la propria vita dovrà essere ristrutturata. Nella quarta ed ultima fase, avviene una vera e propria riorganizzazione emotiva, che permette la ripresa del funzionamento precedente e l’adattamento alla nuova realtà in cui il dover convivere con la malattia e con tutte le sue conseguenze assume un valore centrale. Il modo più o meno funzionale con cui questo avviene dipende molto anche dal significato attribuito alla malattia, intesa proprio come evento esistenziale da collocare e da risignificare in relazione alla propria storia di vita.
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