IL MATTINO
Editoria
19.08.2020 - 10:55
Luciano D'Andria
“Vetus, Florida, Fides Acheruntia”, antica, florida e fedele Acerenza. Luciano D’Andria, classe 1994, lo sa bene perché è lì che è nato e cresciuto e ha visto crescere la sua passione per l’arte e per l’archeologia, al punto da farla diventare oggetto dei suoi studi accademici e di un libro ad essa dedicato. Giovane promessa dell’archeologia lucana, e non solo, ha realizzato un volume dal titolo “Gli uomini del Nord”, edito da Telemaco Edizioni, in cui analizza l’arrivo dei franco-normanni in terra lucana e, più nello specifico, ad Acerenza. L’arrivo di una popolazione tanto numerosa, quanto complessa, ha determinato la crescita di un territorio che era già punto di riferimento amministrativo e militare per longobardi e bizantini, e che ora fiorisce, diventando un fulcro del Meridione, soprattutto dal punto di vista religioso. Basti pensare che la Arcidiocesi metropolitana di Acerenza, nell’undicesimo secolo, comprendeva l’intera Basilicata, al di fuori del Vulture-melfese, ed anche una parte della provincia di Bari e di Cosenza. D’Andria ripercorre il tardo Medioevo attraverso un lavoro attento e certosino di ricerca e confronto delle fonti, soffermandosi sul ruolo centrale della Cattedrale, uno dei monumenti più visitati della Basilicata, oggi sostenuta dall’azione costante dei volontari Pro Loco acheruntina di cui il giovane dottore in archeologia è Presidente.
Da dove nasce la passione per l’archeologia?
«Sicuramente nascere in un luogo come Acerenza ha molto influenzato il mio percorso di vita e di studi. Crescere all’ombra di un monumento come la nostra Cattedrale ha rappresentato una spinta in questo senso. In secondo luogo, credo sia stata fondamentale l’influenza di mio padre, che ha sempre lavorato come operaio specializzato negli scavi di Pompei e in altri beni culturali italiani. Probabilmente, ho cercato di imitare lui».
Da dove arriva la scelta di scrivere un libro proprio su questo argomento?
«Tutto è nato nel 2014 quando mi sono occupato della revisione del copione di una rappresentazione teatrale di uno degli eventi più importanti ad Acerenza, il corteo storico, che narra la storia della cattedrale. Approfondendo, mi sono imbattuto in alcuni documenti che valeva la pena analizzare più da vicino ed ho pensato che questi argomenti dovessero essere trattati anche in una forma diversa da quella teatrale. Ho impiegato ben tre anni di studio e di ricerche per riuscire a mettere insieme tutti i pezzi».
È stato complicato reperire tutte le fonti necessarie per questo lavoro?
«Non è difficile se si sa dove cercare. Non ci sono tante fonti di riferimento, il vero lavoro è incrociare i dati e mettere a confronto più documenti: atti notarili, diplomi medioevali e documenti scritti di vario genere. In questo mi sono stati di grande aiuto delle opere di un decennio fa, circa. Mentre, per quanto riguarda lo studio della geografia, ho dovuto consultare dei dossier molto specializzati. La parte storica a cui ho dedicato il primo capitolo, invece, è frutto quasi totalmente della ricerca archeologica che avevo già intrapreso per la mia tesi di laurea triennale. In pochissimi casi si era approfondita la storia della cultura materiale, ossia la traccia materiale della storia, che meritava di essere sviscerata ad Acerenza. Fortunatamente, sono riuscito a trovare quasi tutto il materiale necessario nel mio paese, presso l’archivio del museo diocesano di arte sacra, e mi sono fatto inviare ciò che mancava dalla Biblioteca Vaticana Pontificia, dalla Biblioteca Nazionale Sagarriga Visconti Volpi di Bari o consultando i fondi online della Sovrintendenza archivistica di Basilicata e Puglia. Fondamentale è stata la Biblioteca di Bari, dove mi sono formato e che ormai conosco come le mie tasche».
Interessante è lo studio dedicato al legame tra la diocesi di Acerenza e il Santo Patrono, San Canio. A quali conclusioni è arrivato?
«La tradizione vuole che le reliquie di San Canio siano arrivate ad Acerenza intorno all’ottavo secolo, mentre incrociando alcune fonti archeologiche e storiche risulta che le reliquie si trovano ancora in un centro campano, Sant’Arpino, in provincia di Caserta. Si pensa che probabilmente il costruttore della cattedrale Arnaldo le abbia portate qui, ma non prima nel 1080. Ancora oggi, comunque, non sappiamo dove si trovino realmente le sue reliquie».
Nel libro afferma che non si conosce mai abbastanza il proprio paese. Cosa ha scoperto del suo dopo aver condotto queste ricerche?
«Innanzitutto, la concezione degli spazi. Si fa fatica a pensare che Acerenza, un tempo, avesse una tale estensione e un potere smisurato. Sembra incredibile che dove noi adesso passeggiamo, prima sorgesse un cimitero o una chiesa. Anche i contatti che vi erano con paesi vicini avevano una diversa intensità rispetto a oggi: ad esempio, era forte il legame con Gravina di Puglia, che si trova a circa quaranta chilometri da Acerenza, o con Altamura, essendo state entrambe parte della nostra diocesi. Inoltre, aveva lo stesso titolo di Matera nella direzione della diocesi. Questo mi ha fatto molto pensare a quello che Acerenza non è potuta diventare per una serie di motivi, e che l’avrebbero resa un centro urbano molto più vasto di quello che è oggi».
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