IL MATTINO
il caso
12.08.2020 - 10:28
Massimo Giletti
«Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene» diceva Paolo Borsellino. Massimo Giletti lo ha fatto. Con tenacia, coraggio e quella sana ostinazione che distingue il mestierante dal professionista, al motto di «Ho un solo obiettivo: tentare di raccontare la verità attraverso le nostre inchieste». La storia delle sorelle Napoli e le vicende del cantante neomelodico Tony Colombo, in odore di camorra, sono solo alcune delle più mediatiche inchieste condotte negli ultimi anni. Raccontare la verità ha un costo e vedersi assegnare una scorta ha un prezzo morale e professionale. Il punto di partenza è rappresentato dalla sommossa nelle carceri dello scorso marzo. Il Paese è alle prese con le prime zone rosse tra Lombardia e Veneto ed il lockdown totale è alle porte. All'interno di numerose case circondarli e di detenzione, in maniera coordinata ed organizzata, tra il 7 e il 9 marzo si registrano rivolte, incendi, risse e fughe come mai nella storia dell'Italia repubblicana: 13 decessi tra i detenuti (9 a Modena, 3 a Rieti ed uno a Bologna), 136 agenti feriti e copiosi danni alle strutture stimati in circa 12 milioni di euro. I decessi vanno inseriti all'interno della popolazione carceraria tossicodipendente che scontava pene per reati connessi al mondo della droga, casi di overdose dopo aver assaltato le infermerie ed ingerito grandi quantità di metadone e sostanze affini. Le fughe vanno inserite in un contesto più organizzato: il 9 marzo a Foggia 77 detenuti si allontanano dal carcere trovando all'esterno numerose auto ad aspettarli. Lo Stato è in difficoltà: nel carcere di Melfi (PZ) il sequestro di quattro agenti della polizia penitenziaria e cinque operatori sanitari rilasciati solo dopo numerose ore di complesse trattative. Il casus belli esula la sospensione delle visite e dei colloqui con i familiari al fine di evitare la diffusione del Covid-19 all'interno della popolazione carceraria. La regia della criminalità organizzata sfrutta il Covid-19 per generare caos e violenza, avanzare richieste e rivendicare posizioni. Le polemiche sulla mala gestio delle carceri travolgono il direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Francesco Basentini, dimessosi il 30 aprile ed il ministro della giustizia Alfonso Bonafede. Le scarcerazioni "facili" a causa dell'emergenza sanitaria da parte dei tribunali di sorveglianza diventano un caso nazionale indebolendo un governo impegnato a gestire una pandemia dalle disastrose conseguenze economiche e sociali. Nella famosa lista dei 376 detenuti scarcerati perchè affetti da gravi patologie emergono i nomi di pericolosi detenuti in alta sicurezza per reati commessi con l'aggravante mafiosa, per quelli che riguardano il traffico internazionale di stupefacenti e tre detenuti al 41bis. Arresti domiciliari per boss e gregari. Nella trasmissione domenicale "Non è L'Arena" un coraggioso Massimo Giletti inizia ad approfondire, ricostruire e ripercorrere le vicende delle scarcerazioni causa Covid-19 di detenuti con alle spalle una scia di sangue costata, talvolta, la vita a valorosi uomini in divisa e di Stato ed ai loro familiari che in molti casi attendono ancora giustizia. Vengono fatti nomi e cognomi di chi aveva già lasciato le celle o era in procinto di farlo, sollevando la spinosa questione della certezza della pena rapportata al principio di rieducazione. «Ho perso amici nella lotta contro la criminalità organizzata, ho negli occhi un carabiniere che è morto caduto da una scogliera per mettere una microspia, io come cittadino italiano mi vergogno, è un fatto inammissibile ed intollerabile» affermò dagli studi di La7. Un cittadino italiano che è anche un giornalista e che con dedizione e serietà ha acceso i riflettori su un tema delicato e complesso. Le minacce del boss Graviano non si sono fatte attendere, perchè «La mafia uccide, il silenzio pure».
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