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Basilicata terra di scomparsi

Ottavia. Una bambina. Io non dimentico. Libera ricorda la bimba di Montemurro

«Il pregiudizio di cui è stata vittima Ottavia è identico a quello a cui sono sottoposte le donne vittime di violenza ai giorni nostri»

Ottavia. Una bambina. Io non dimentico. Libera ricorda la bimba di Montemurro

Camilla Nigro di Libera

Lo scorso pomeriggio, il 18 maggio, Libera Val d’Agri, con l’appoggio di Libera Basilicata ha voluto ricordare la piccola Ottavia De Luise con un incontro ricco di interventi volti a mantenere vivo l’interesse verso una vicenda mai risolta. L’incontro, avvenuto in diretta Facebook sulla pagina ufficiale di Libera Val D'agri, è stato moderato dalla giornalista de La Siritide, Mariapaola Vergallito, la quale ha gestito gli interventi di vari esperti: Camilla Nigro, referente del presidio di Libera Val D'agri, Gerardo Melchionda, referente di Libera Basilicata, Umberto Sessa, presidente della cooperativa Iskra, Gelsomina Sassano, avvocata della famiglia De Luise, Cristiana Coviello, avvocata che si occupa di donne vittime di violenza e Patrizia Bruno, psicologa e Assessore alle politiche sociali del Comune di Marsicovetere.
L’incontro, dal titolo “Ottavia. Una bambina. Io non dimentico” ricalca un concetto a prima vista banale, ma quantomai imprescindibile in questa storia: Ottavia era solo una bambina. Durante la diretta Facebook, la responsabile di Libera Val d’Agri, Camilla Nigro, insieme all’avvocata Cristiana Coviello, hanno ribadito l’assurdità di taluni verbali stilati in seguito alla scomparsa della bambina. «Nei verbali si parlava di make-up, di rossetti, della sua bellezza, dei soldi che lei aveva e con i quali comprava caramelle che distribuiva ai suoi amici. Tutti orpelli inutili alle indagini. Leggere oggi queste dichiarazioni, sapendo che nessuno l’ha cercata, fa pensare piuttosto a un pregiudizio: Ottavia si prostituiva e quindi era inevitabile che le accadesse qualcosa. Invece, questo sarebbe stato l’unico elemento di indagine da seguire», afferma l’avvocata Coviello, ribadendo l’assurdità del linguaggio utilizzato per parlare di una bambina, vittima di abusi da parte di uomini adulti. «Il fatto che Ottavia ricevesse del denaro a seguito degli abusi subiti, non vuol dire che si tratti di prostituzione o che questi uomini pagassero per una prestazione, considerando che aveva dodici anni, ed era solo una bambina». Senza dubbio, l’epoca in cui si svolsero i fatti era differente da quella attuale: il reato di violenza sessuale non esisteva, così come quello di pedofilia aveva ben altra definizione: «Per quanto si tratti di un’epoca ben diversa, il pregiudizio di cui è stata vittima Ottavia è identico a quello a cui sono sottoposte le donne vittime di violenza ai giorni nostri», continua l’avvocata Coviello.
Ad intervenire è anche l’avvocata Gelsomina Sassano, la quale, nel 2010, fu contattata dalla famiglia De Luise affinché li rappresentasse nella riapertura del caso: «La madre mi strappò una promessa che, purtroppo, non sono riuscita a mantenere: ritrovare il corpo di sua figlia perché avesse degna sepoltura e una tomba su cui piangere». L’avvocata sottolinea con forza la difficoltà incontrata nella riapertura delle indagini: «Ricordo la frase di una persona anziana del paese che mi chiese cosa stessimo ancora cercando e che sarebbe stato meglio evitare di arrecare danno a famiglie onorabili. È stato come uccidere Ottavia una seconda volta. Ricordo anche le informative stilate negli anni Settanta, in cui si scriveva che Ottavia era “una ragazza con mentalità aperta e dai facili costumi”, dimenticando che si trattasse di una bambina».
Gli interventi della psicologa Patrizia Bruno e del presidente della cooperativa Iskra, Umberto Sessa, spiegano alcune dinamiche che sottendono a eventi del genere, sia all’interno della famiglia della vittima, che in una comunità. «L’indeterminatezza in una situazione come questa cristallizza le emozioni. È difficile elaborare un lutto senza sapere dove si trovi tua figlia; è per questo che si parla di lutto patologico, una perdita “ambigua”, in quanto non si ha un corpo su cui piangere». La psicologa spiega cosa comporti un trauma come questo all’interno della famiglia della vittima: il dubbio che deriva da un caso di scomparsa porta a uno sconvolgimento dei propri ritmi vitali, della definizione stessa del tempo e l’assenza di notizie crea intorno ai familiari una condizione di silenzio assordante, il silenzio di Ottavia, che non può comunicare con la sua famiglia e anche il silenzio di una comunità che non vuole parlarne. «Non è soltanto la famiglia a non aver elaborato il lutto, ma un’intera comunità che non elabora l’evento e si chiude in sé stessa», spiega Umberto Sessa, «La speranza è che il paese faccia pace con Ottavia, superi il pregiudizio, e le ridia vita anche attraverso dei simboli commemorativi».
Infine, Gerardo Melchionda, referente di Libera Basilicata, auspica che Ottavia «Possa aver ritrovato la libertà della quale è stata privata e per la quale, probabilmente, è stata punita».
Un sogno per Ottavia? «Se esiste un aldilà, spero che Ottavia in questo momento abbia riabbracciato la sua mamma» afferma l’avvocata Gelsomina Sassano.

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