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L'emergenza Covid-19 nel mondo

Coronavirus. Un lucano a Singapore: la vita continua con l’aiuto della tecnologia. Paura per il settore turistico e della ristorazione

Il racconto di Christian, acheruntino, tra contact tracing e app per rintracciare i contagi, continua a lavorare pensando all’Italia

Coronavirus. Un lucano a Singapore: la vita continua con l’aiuto della tecnologia. Paura per il settore turistico e della ristorazione

Sono più di 5 milioni gli abitanti della piccola città-stato di Singapore, il Paese asiatico la cui popolazione è composta dal 42 per cento di stranieri, che vi risiede per lavoro o studio. Christian ha 26 anni, ha lasciato l’Italia 7 anni fa, dopo aver finito le superiori. Prima Londra, scelta un po’ per bisogno di indipendenza, un po’ per fare un’esperienza nuova, ma senza troppe aspettative. Inizia a lavorare nella ristorazione, “lavoretti” che si sono poi trasformati in una carriera vera e propria. Dopo l’Inghilterra, Dubai, Singapore, Danimarca. Un anno e mezzo fa il ritorno a Singapore, dove è bar manager di un noto locale. Christian è acheruntino, ha deciso di non tornare per proseguire il suo lavoro, ma la preoccupazione per i suoi cari a casa è tanta, incerto è anche il futuro nella piccola città della penisola malese, il turismo è alla base di tutto.

«Trovarmi in questa parte del mondo in questo periodo storico è molto particolare - afferma- Singapore è sinonimo di globalizzazione, sembrerà assurdo ma ad oggi 31 marzo, la vita prosegue con relativa normalità, specialmente se paragonato a quello che sta succedendo in giro per il mondo e soprattutto in Italia. Si continua ad uscire, andare in spiaggia, fare sport, facendo più attenzione ovviamente. Credo questo sia dovuto a diversi motivi. Singapore, come Hong Kong, fu uno degli stati più colpiti dalla Sars del 2003 e da allora sia il sistema sanitario che la gente del posto si è attrezzato, anche psicologicamente, per un’eventuale nuova epidemia».

Quali sono le misure attuate dal Governo?

«Il Governo già a metà Gennaio ha reagito all’emergenza, quando ancora non era considerata una pandemia. Singapore vive di import-export e i legami con la Cina sono strettissimi, l’etnia cinese è quella dominante e la vicinanza con la Cina la rende una delle mete turistiche preferite dai cinesi. Oltre allo stretto rapporto con la Cina, Singapore è uno degli snodi più interconnessi al mondo, con un aeroporto più trafficato di quello di Dubai e dello Jfk di New York. Per questa serie di motivi, il governo sapeva di dover agire subito e così è stato. I collegamenti con la Cina sono stati chiusi a metà gennaio e poi via via con i paesi che registravano il numero maggiore d’infetti».

Come ha reagito la popolazione? C’è qualche soluzione che potrebbe essere adottata anche in Italia?

«Ha collaborato da subito seguendo le indicazioni, forse questa è la cosa che mi ha colpito di più, l’assoluta fiducia che la gente del posto ha in chi li governa. Con diverse misure e controlli ferrei sulle persone in quarantena e sulle persone vicine a loro (sono stati creati team per il “contact tracing” che arrivano a tracciare anche 4.000 persone al giorno) ma anche gruppi Whatsapp tramite cui il governo dà indicazioni, app con aggiornamenti in tempo reale con mappe dei contagi, luoghi visitati da evitare, grazie a questi si è riuscito a contenere il numero di casi in città, senza dover chiudere nessuna attività. Anche se il numero di contagi sul posto è stato controllato, nelle ultime due settimane il problema è diventato l’impennata del numero dei casi importati da Europa e Stati Uniti, per la maggior parte persone residenti a Singapore di ritorno che ha portato il totale di più di 800 contagi, con 3 decessi».

Tutti gli eventi sono stati cancellati, bar con grandi capacità e discoteche sono stati temporaneamente chiusi e si seguono norme di distanza nei luoghi pubblici. Come stai vivendo questo momento anche dal punto di vista lavorativo?

«Ogni giorno c’è qualcosa di nuovo e la situazione si sta evolvendo rapidamente quindi è presto per arrivare a conclusioni. La comunicazione dei media locali è sempre stata molto chiara e molto dettagliata il che ha trasmesso grande sicurezza alla popolazione che superato il panico iniziale, adesso si sta adeguando. Sul piano personale, la mia quotidianità non è stata sconvolta più di tanto, divido casa con due ragazzi cinesi e tramite loro ho vissuto un po’ quello che stava succedendo in Cina, dal panico, alle misure drastiche prese, al picco fino al calo dei contagi e il senso di liberazione per una battaglia quasi vinta per loro. Nel settore del turismo e ristorazione stiamo subendo un duro colpo e si aspettano iniziative da parte del governo che arriveranno nei prossimi giorni. Giro per il mondo da anni ormai, e di recente sono stato proprio in Cina, e vedere come il mondo sia stato sconvolto in meno di due mesi, come se si fosse messo in pausa, è incredibile».

Hai voglia di tornare a casa?

«Questa situazione dovrebbe farci riflettere, come sta facendo riflettere me, su quali siano le vere priorità. È ovvio che in questo periodo così difficile per l’Italia vorrei essere più vicino alla mia famiglia e a miei amici con cui mi sento praticamente tutti i giorni. Quando le acque si saranno calmate tornerò in Italia, sperando che sarà concesso abbracciarsi».

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