IL MATTINO
Cervelli in fuga
03.02.2020 - 12:45
Il famigerato Coronavirus sta monopolizzando l’attenzione globale, con oltre 300 decessi e migliaia di contagi ha già superato quelli del 2002 legati alla Sars. Un ospedale costruito in soli 10 giorni, la Cina cerca di ripartire. Tre ricercatrici italiane isolano il virus, sono le prime in Europa. È emblematico però il caso di Francesca Colavita, 30 anni, ricercatrice precaria che allo Spallanzani ha un contratto a tempo determinato in scadenza. Abbiamo deciso di intervistare Lisa Beatrice Caruso, ricercatrice lucana a Filadelfia per un postdoc. Una donna di 37 anni, tenace, appassionata del suo lavoro.
Raccontaci il tuo percorso di studi, di cosa ti stai occupando adesso?
«Mi sono laureata all’Università La Sapienza di Roma in Chimica e tecnologie farmaceutiche. Durante il mio corso di studi mi sono avvicinata al mondo della biologia e nel Dipartimento di biochimica “Rossi Fanelli” di Roma ho preso per la prima volta una pipetta in mano e ho iniziato a dedicarmi ai miei primi esperimenti. A seguire il Dottorato in biofisica, sempre alla Sapienza di Roma, qualche anno come volontaria dopo il dottorato e poi il postdoc in America nel laboratorio del dottor Italo Tempera. Ci occupiamo principalmente dello studio dell’interazione del virus di Epstein-Barr con l’ospite e di come i due possano reciprocamente influenzarsi. Noi ci occupiamo di caratterizzare questa interazione attraverso delle tecniche che studiano nello specifico la conformazione della cromatina e l’espressione genica. Inoltre, nel mio laboratorio, ci occupiamo dello studio di una famiglia di proteine le Parp (Poli Adp-ribosio polimerasi) queste sono coinvolte in vari processi cellulari come, il riparo al danno al Dna, l’apoptosi e molto altro. Gli inibitori di Parp potrebbero rappresentare in futuro dei farmaci utili per il trattamento di alcuni tipi di cancro tra cui quello ovarico e quello al seno».
Filadelfia, una tra le più antiche città degli States, operosa e ricca di storia. Cosa ti sta dando? Come si vive a Philly nell’era Trump?
«Philadelphia è una città molto particolare, perché pur essendo tra le più antiche di America, non sembra una città americana anzi per molti aspetti sembra di stare in Europa. È una città dove ci si può spostare facilmente a piedi o con i mezzi, nonostante sia molto grande. Io sono approdata a Philadelphia poco prima delle elezioni che hanno visto Trump come vincitore. A parte la mia prima coinquilina supporter di Trump sfegatata, il mio contatto con il presidente qui a Philadelphia è stato nullo. Philadelphia poi è da sempre una città liberale».
L’Italia non ti ha dato ciò che cercavi, eppure sei legatissima al tuo paese, tanto da aggiornare i tuoi amici con una specie di diario di bordo sui social. Torneresti a praticare il tuo lavoro in una università italiana?
«I miei post lunghissimi sui social, dove racconto le mie giornate americane, nascono con l’idea di condividere con i miei amici la mia nuova esperienza e per colmare il mio senso di solitudine. Trapiantarsi a 30 anni suonati in una nuova realtà non è stato semplice, ma il contatto con casa tramite la scrittura ha alleggerito momenti difficili durante i quali mi sentivo persa e sopraffatta dagli eventi. Sono una cittadina del mondo, ma le mie radici saranno sempre in Italia. Amo il mio paese e si, ritornare a casa sarebbe bellissimo, probabilmente impossibile, ma mai dire mai nella vita. Il mio paese è il luogo dove mi sono formata: il mio modo di ragionare, il mio senso critico li ho sviluppati tra Roma e Acerenza, il mio piccolo paese della Lucania da dove provengo. Io credo che sono stata molto fortunata perché, durante il mio cammino accademico e non solo, ho incontrato persone eccezionali che mi hanno inspirato, trasmesso le loro conoscenze e insegnato a pensare in maniera non convenzionale. Ritornare tra queste menti sarebbe bello».
Se avessi la possibilità di rivolgerti direttamente al ministro dell’Università e della ricerca, cosa gli diresti?
«Un paese senza ricerca è un paese senza futuro! Non investire soldi per ricerca e sviluppo non solo è stupido ma anche controproducente. Sarebbe bello che la ricerca e l’istruzione diventassero una priorità per il nostro paese. L’Italia purtroppo perde ogni anno migliaia di menti brillanti che sono fondamentali non solo per lo sviluppo economico ma anche per quello culturale del nostro Paese. Un paese senza ricerca è destinato inesorabilmente al degrado».
La partenza per te ha avuto il sapore della liberazione o di una piccola sconfitta?
«Io vivo spaccata a metà perché ogni volta che parto e lascio casa, da un lato sono contenta di rientrare nel mio laboratorio e ai miei progetti ma, dall’altro lato, lasciare casa, i miei affetti e i miei luoghi diventa sempre più difficile e doloroso. Partire per inseguire i propri sogni non è mai una sconfitta o almeno non lo è stato nel mio caso. Ma non poter essere presente quotidianamente nella vita dei miei cari è una cosa che mi lacera dentro. Mi piacerebbe tantissimo ritornare in Europa per poter condividere tutto quello che ho imparato e scoperto in questi anni con i miei colleghi europei. Ma io di solito non faccio mai progetti a lungo termine e lascio che le cose succedano. Una certezza ce l’ho però: nel mio futuro ci sarà sempre la scienza e l’amore per la scoperta. Colgo l’occasione di questa intervista per dare un consiglio a chi come me si trova nella situazione di dover lanciarsi nel vuoto per inseguire i propri sogni: Non abbiate paura di rischiare, di viaggiare, di aprirvi alle nuove avventure; diventerete delle persone migliori, più aperte al confronto, arricchirete il vostro bagaglio di conoscenze che non troverete su alcun manuale o libro. E poi volete mettere la gioia di poter condividere quello che avrete imparato con le persone che amate arricchendole e rendere questo fantastico e caotico mondo un posto migliore? Nessuno dice che sarà semplice, ma vi assicuro che ne varrà la pena».
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