IL MATTINO
Il racconto
30.08.2018 - 18:02
C’è in ognuno di noi un lato “delicato”, una parte sensibile, quasi una certa fragilità che ci portiamo dentro e che, in fondo, ci caratterizza. A me, per esempio, piace toccare gli oggetti appartenuti ad altri. Una maniera per sfiorare il loro passato ed ascoltare l’eco dei sentimenti che vi hanno trovato riparo. Quante emozioni hanno assorbito quegli oggetti, quante relazioni hanno stretto, quanti passaggi hanno fatto nel tempo e nello spazio. Fino ad annodare pezzi di storie passate a cordoni di vite future, in una tacita staffetta che, al traguardo, premia chi, per amore, ha deciso di “appartenerli” come saperi.
Forse è questo il motivo per cui, ad un certo punto della propria vita, c’è chi decide di mettere insieme una serie di “cose” e di custodirle, come si fa con i ricordi più belli. L’idea iniziale di impostare una “raccolta” si traduce, inevitabilmente, nel “racconto” di una storia che, nel possesso di quelle cose, trova la sua identità. Come in un puzzle creativo ed evocativo, gli oggetti si
posizionano e si incastrano fino ad assumere, tra identità e differenze, forme narrative. Spinti dall’amore per il processo - a volte più che dal risultato - si comincia a cercare e poi a ricercare, a selezionare, ad assemblare, a conservare. A collezionare. Finché, un giorno, ci si sorprende a compiere veri e propri gesti di affezione, di dedizione e di impegno per la messa a fuoco di quella
che altro non è se non la manifestazione visiva di una disposizione interiore. In realtà l’espressione di un profondo desiderio di definire una propria percezione dell’esistere da far valere oltre ogni limite spaziotemporale.
Collezionare non vuol dire semplicemente mettere insieme. Collezionare vuol dire assecondare la naturale interazione tra la propria sfera razionale - che vuole accumulare - con quella più passionale - che vuole ricordare - in una continua danza di devozione e conoscenza, di persone e oggetti, di relazioni latenti o conclamate, seguendo le suggestioni che questo percorso riesce ad attivare. Un atto di continuo innamoramento verso il senso delle cose che attraggono e che affascinano per il
carico affettivo ed emozionale che trasmettono piuttosto che per il reale valore economico. In un’epoca proiettata verso la ricerca spasmodica di ciò che è nuovo, la transitorietà non può non trovare pacificazione in questo esercizio che regala, insieme al piacere della costruzione, anche la gioia della continua rigenerazione.
Complice l’età maggiore, da qualche tempo anch’io ho iniziato a raccogliere. Quasi per caso sono rimasta affascinata da quei piccoli aggeggi che da sempre fanno da riparo alle dita impegnate a cucire o a ricamare. I ditali da cucito mi ricordano mia nonna, quella che sapeva cucinare e che in tutte le sue gonne portava disseminati fili di imbastitura. Se penso a lei penso a quell’affare luccicante in vetta al suo dito invecchiato quasi come una corona. I ditali che ho acquistato li ho immaginati tutti ad ornare le sue mani. Ne possiedo oltre un centinaio, uno per ogni immagine di memoria.
Una leggenda sudamericana racconta che, in passato, le nonne regalavano alle figlie, ma anche alle nuore e alle nipoti un ditale in argento per proteggerle da ogni pericolo. Un bellissimo gesto di affetto che ha inondato di significato questa mia “costruzione” per il valore aggiunto che le ha conferito di albero genealogico al femminile, puntellato di tanti piccoli trofei da tramandare come
miracoli di cura. È questo il senso del mio collezionare: voler trasmettere il difficile impegno di coltivare ricordi e passioni per creare appartenenze in forma di sentimenti. Fuori da ogni flusso, fuori da ogni dispersione, tra il visibile e l’invisibile. Aggrappati - o sorretti - sempre e comunque, a ciò che ci fa stare bene. A Creglingen, in Baviera, esiste il “Museo del Ditale” che ne racconta la storia fin dal Neolitico. Bizzarro. Come bizzaro è non credere che alcuni oggetti possano mantenere vivi e traghettare entusiasmi e ricordi. Per i lettori curiosi: le informazioni sul museo sono reperibili al sito www.fingerhutmuseum.de.
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