IL MATTINO
A un passo dal vero
11.12.2017 - 18:59
La poetessa Isabella Morra, uccisa a 26 anni
Il Dottor Vincenzo Chiaradia nulla sapeva più di quanto era scritto in quel documento.
- E perché non me ne ha parlato? – disse Adele.
- Assolutamente…non è che non ne ho voluto parlare, solamente che…assolutamente… non ho ritenuto importante…assolutamente…
- Era invece assolutamente utile, dalla sottolineatura risulta chiaro che Isabella Costa ne sapeva di più. Che abbia fatto delle ricerche? Che ne dice, Dot tore?
- E’ possibile…era un’impicciona…Chiedo scusa, ma quando venivamo qui non ci lasciava in pace...poverina, pensava di salire agli onori della cronaca con qualche “scoperta”, o magari di fare la carriera universitaria… e per questo martellava Cend ola, il professore, poveretto, insomma pensava che chissà quali segreti nascondesse il palazzo!
- Ma ne aveva parlato con voi, con lei, Dottore, e con il Professor Cendola , ovviamente. E voi non le avete dato ascolto, ovviamente… - concluse Adele.
- Ma no, non c’era n ulla da cercare, ovviamente…assolutamente… - farfugliò Chiaradia.
- E come spiega quel pezzetto di carta che Isabella nascondeva nella mano, un pezzetto uguale a quello che abbiamo trovato nella piccola grotta scavata nel l’albero, sul Coppolo. La scientific a ha confermato che fanno parte del l o stesso foglio…alquanto antico… guarda caso del ‘500.
- Non so nulla…le dispiace se chiamo il mio avvocato? Credo che sarebbe utile sentire il professore…
- Li sentirò tutti, non si preoccupi. F accia pure, se ritiene , chiami pure il suo avvocato. Intanto si renda r eperibile e non faccia cenno a questa nostra conversazione con nessuno, sono stata chiara?
Con Giustina e Maria aveva parlato a lungo tramite Skype. Si preparava all’interrogatorio del professore Cendola, con vinta di avere ormai l’asso nella manica.
Da Parigi, Maria le aveva inviato l’esito delle ricerche che sia Isabella che il prof. avevano effettuato. Isabella aveva lavorato online e aveva chiesto a Maria di inviarle i materiali almeno quelli consentit i dal regolamento della Biblioteca , poi, qualche
tempo dopo, il professore si era recato personalmente in Biblioteca, chiedendo di vedere gli stessi materiali consultati online da Isabella, senza, tuttavia, fare riferimento a lei.
Fu per Adele un’emozione che la fece sbiancare e quasi traballare – ah! quella gamba, non le dava pace! - , la lettura del testo che Maria le aveva inviato. Era stato scritto di suo pugno da Isabella, almeno questa era la tesi, erano comparsi prima frammenti nei punti in cui non er a stat a soprascritta l a lettera a Caterina, poi, grazie agli infrarossi, il testo era comparso nella sua interezza. Un vero miracolo: un sonetto scritto da Isabella Morra ricompariva dopo 500 anni da un angolo sommerso dalla polvere della biblioteca di Fra ncia. Un vero scoop letterario! Fama certa! Non restava, a questo punto, che sentire il prof.
Isabella Costa aveva vagato a lungo nei locali sottostanti il palazzo, dove, una volta effettuati gli scavi, tutto era rimasto intatto. Quei locali avevano per lei un fascino che le dava la nausea. O forse era l’odore pestifero della muffa che copriva ogni pietra, forse era la paura che la prendeva alla gola, era proibito aggirarsi per quei locali, per motivi di sicurezza, ma lei ci tornava ogni notte con la soli ta torcia a cercare , tra muffa e ragnatele, queste ancora più spaventose. Non poteva convincersi che Isabella non avesse lasciato un segno della sua presenza lì dove era vissuta e dove era morta. Ancora di più le sembrava difficile che non avesse inviato suoi componimenti al fratello, al padre che in Francia facevano la bella vita. Fu una notte di maggio che al primo chiarore del mattino rip rese la sua esplorazione. Da tempo avev a preso ad osservare un punto ricoperto di muffa, c on un curioso avvallamento. Si era portata dietro un coltello e un martello, con quegli arnesi avrebbe avuto finalmente il coraggio di scavare. L’inizio fu semplice, la muffa cedeva facilment e al coltello, poi la cosa divenne più difficile… il tempo passava… sarebbe scesa la notte dopo. E così fece. Tolto lo strato di muffa, comparve uno strato di terriccio, lo tolse con ansia, ora una pietra, ora uno stato di terriccio, insomma tra poco il su o braccio non sarebbe bastato a scavare…ma ecco un qualcosa di familiare sfiorò le dita di Isabella. Poteva essere carta . A fatica e con cautela Isabella trasse fuori il foglio. Era pesante e ripiegato più volte. Non ebbe il coraggio di aprirlo, del resto con quella poca luce sarebbe stato inutile. Solo Cendola poteva aiutarla, a questo punto. Ma prima di parlargliene lo aveva nascosto nel cavo dell’albero presso il quale spesso si fermava inseguendo le tracce di Isabella. Cercò di aprirlo, ne lesse alcune parti, almeno quello che le parve di intuire e ne mandò copia al fratello, ma rischiava di frantumarlo. Doveva chiedere aiuto a Cendola.
Non avrebbe mai immaginato il seguito della storia, né avrebbe mai più potuto vederne gli esiti.
Cendola fu portato nel carcere di Potenza, dove l’interrogatorio proseguì per molte ore. C’er ano da chiarire molti passaggi, compresa la complicità di Chiaradia. Ma una
cosa era certa. La scoperta di un sonetto di Isabella Morra da par te di una petulante studentessa aveva fa tto perdere la testa al prof. alla ricerca di successo accademico . Dopo anni di ricerche e di soldi spesi inutilmente doveva essere suo il merito. Ma lei, la petulante studentessa con le stesse ambizioni, non voleva saperne. Il suo testo , praticamente la s ua tesi di laurea “Il sonetto ritrovato”, quello che avrebbe dovuto darle fama e, chissà mai ricchezza, era ormai pronto. Ma inutilmente. Sarebbe uscito, se mai fosse usc ito, a firma del prof. Cendola, che tutto aveva previsto, tranne che incontrare nella sua vita una tosta come Adele.
Il processo fu lungo. Adele ne seguì le tappe con particolare attenzione fino alla condanna all’ergastolo del prof. e alla condanna del dott. Chiaradia a 5 anni per complicità nel delitto e nell’occultamento delle prove.
Aveva ormai preso l’abitudine di leggere i versi di Isabella prima di addormentarsi.
Non tarderan il pianto e la mia pena
a venir fuori dai miei occhi spenti
per la sventura d’esser qui in catena,
dove di avermi posta non ti penti.
La carne mia legata a l tuo destino
brucia d’ardore e insieme di tal pena
che vede solo oscurità e catena.
Mai lascerò e pianto e pene infino
a quando il mondo non ne vedrà fine,
e saprà tutto d’esta mia ventura
che lieti giorni mai potrà godere.
Se tu non mi darai ascolto al fine
e di vendetta giurerai la cura ,
l’anima al fondo mi vedrai cadere.
Si aspettava, e sarebbe stato giusto, che qualche onesto professore desse seguito alle ricerche di Isabella Costa. Il nuovo sonetto di Isabella Morra era perfetto e prezioso. Aveva anche preso l’abitudine di addormentarsi sussurrando: Grazie Isabella prima, grazie Isabella seconda.
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