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Rubrica di legge e di miti (4): Abbandono e truffa di persona ammalta nel corpo

Filottete, il guerriero acheo abbandonato e raggirato in nome dell'utile

L’eroe ferito da una vipera, a causa delle grida di dolore e del fetore emanato dalla piaga, viene abbandonato su un’isola deserta. Dieci anni dopo tornano a prenderlo. Per truffarlo

Filottete, il guerriero acheo abbandonato e raggirato in nome dell'utile

Anfora con Ercole e Filottete

Ecco la quarta puntata della rubrica settimanale che interpreta i miti alla luce della legislazione vigente in Italia. Spesso infatti nei racconti Greci si trovano prefigurati gli archetipi di alcuni reati. La mitologia fornisce immagini suggestive dei comportamenti umani, aiutando il lettore a conoscerne meglio l'animo e offrendo dei paradigmi immediati cui rivolgersi.

Ulisse: «Non esitare quando miri all’utile».
Sofocle

Questa settimana si racconta una storia a "lieto fine", una storia che dopo peripezie e litigi si conclude con un accordo. È la storia di Filottete, figlio di Peante e di Demonassa (o Metone), eroe che, fin dall’epoca omerica, è considerato il custode delle armi, arco e frecce, di Eracle. Sofocle, nella tragedia intitolata appunto Filottete, andata in scena nel 409 avanti Cristo, tramite Ulisse racconta il misfatto perpetrato ai danni di Filottete dieci anni prima:

«(…) Neottòlemo, figlio di Achille, sappi ch’io medesimo abbandonavo il figlio di Peante, l’eroe Malìaco [golfo a sud della Tessaglia, ndr], un giorno: io, che subivo un ordine dall’alto; lui, malato, stillante il piede da una piaga logorante. A causa sua non potevamo più disporci in sereno silenzio per libagioni e sacrifici: dominava il campo intero con gemente respiro agonizzante in aspre grida perturbatrici (…)».

Ulisse ricorda di aver abbandonato dieci anni prima Filottete. Il primo reato che si incontra è quindi l’abbandono di una persona incapace, per malattia di corpo, di provvedere a se stessa e della quale Agamennone, in quanto capo della spedizione, aveva la custodia. Filottete, infatti, era stato morso da un serpente nascosto nell’erba alta mentre puliva l’altare di Crise, divinità che aveva dato il nome all’isola su cui avvenne il fatto (in altre versioni la ferita è sopravvenuta diversamente). Insomma, un compagno d’armi di cui bisogna aver cura viene ferito, la ferita comincia a infettarsi e a sprigionare un orrendo fetore, le grida di dolore sono incessanti e Ulisse convince l’esercito diretto a Troia ad abbandonarlo sulla deserta isola di Lemno. Ulisse è la mente, Agamennone, in quanto capo della spedizione, è l’esecutore materiale di un atto davvero meschino. Questo reato è espresso all’articolo 591 del Codice penale:

«Chiunque abbandona una persona minore degli anni 14, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni 18, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro. La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

Dopo due lustri dall’abbandono Ulisse, accompagnato da Neottòlemo secondo Sofocle, torna sull’isola di Lemno…per rimorso forse? Assolutamente no. Per utilità. Infatti gli achei hanno saputo che solo con le armi di Eracle, possedute da Filottete, potranno conquistare Troia. Ulisse, per ottenere le armi ricorre all’inganno e alla truffa, incappando così in un secondo reato punito nel nostro codice penale: articolo 640 del Codice penale:

«Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro (...)».

Ulisse induce il giovane Neottòlemo a mettere in atto la truffa ai danni di Filottete, poiché non potrebbe presentarsi di fronte all'eroe in modo evidente: «Egli non deve accorgersi del mio ritorno, la trama in cui penso senz’altro di stringerlo si dispieghi (…). A Filottete devi frodare con parole l’anima. Quando ti chiederà chi sei, di dove vieni, risponderai: “Figlio d’Achille” non deve questo esser falsato: digli però che in patria tu torni per nave, poiché lasciasti la flotta e il campo argivo; digli che odiavi gli achei così tanto che prima ti costrinsero con suppliche a venire e poi non ti hanno dato le armi di Achille che tu esigevi con pieno diritto, ma vollero darle ad Ulisse… e qui, parla male di me con ogni bassezza: non mi darai per questo dolore alcuno (…). Ora si deve pensare al modo in cui tu, non io, dovrai rubare le armi. Comprendo bene che tu non sei nato per la parola e i gesti di frode. Ma, se a cogliersi è dolce il possesso della vittoria, osa; per essere giusti c’è tempo. In questo breve spazio di un giorno concedi te stesso all’impudenza e a me; poi nel futuro abbi nome di pio fra tutti gli uomini».


Neottòlemo, così, raggiunge Filottete e con i consigli di Ulisse ne ottiene la piena fiducia. Sopraggiunge, allora, un terzo “attore”, inviato da Ulisse: dovrà dire che gli achei stanno venendo a prendere Filottete per esporlo sul campo argivo. Filottete cerca di convincere Neottòlemo a partire in tutta fretta per evitare l’arrivo di Ulisse e degli altri achei, e Neottòlemo chiede l’arco e le frecce. Filottete fidandosi gliele consegna: «A te è concesso tenerle in mano ed esser fiero d’aver potuto, tra i mortali il solo, anche toccarle, per la tua bontà. Che anche io le ottenni, sai, facendo il bene». L’ironia tragica di Sofocle tocca in questo punto il culmine: Filottete crede di aver compreso la verità, ma invece ne è lontanissimo. Elogia colui che lo sta ingannando. Eppure Neottòlemo non è Ulisse, e presto si pente di ciò che sta facendo: «Tutto è disagio, se l’uomo tradisce la sua natura e fa ciò che non deve». Eppure in un primo momento Neottòlemo consegna le armi a Ulisse ma, poi, dirà «la giustizia sovrasta la scaltrezza», tornerà da Filottete e gli riconsegnerà le armi, cercando così di convincerlo a imbarcarsi con lui e con Ulisse, il quale è adirato con Neottòlemo ma non ha potuto impedirgli di riconsegnare le armi al legittimo padrone. Solo l'intervento ex machina di Eracle garantirà l'accordo tra tutti: promette a Filottete che la sua sofferenza è stata meritoria di una pronta guarigione e lo convince così a imbarcarsi con gli achei.
Tutto è bene quel che finisce bene e Ulisse, impunito, torna a Troia, ma stando al nostro Codice penale prima avrebbe dovuto farsi da uno a sei anni di reclusione per abbandono di persona ammalata e da sei mesi a tre anni più pena pecuniaria per la truffa ai danni di Filottete. Il messaggio di Sofocle è quanto mai attuale anche questa volta.

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