Il Natale è un gigantesco amplificatore: per molti rappresenta giornate di abbondanza e calore; per gli “ultimi” invece è il momento più duro dell’anno, segnato da solitudine e mancanze, attese ed incertezze. Due realtà che spesso condividono gli stessi spazi ma che non si incontrano mai veramente. Definire gli “ultimi” è sempre delicato perché non si tratta di una categoria sociale ma di una condizione umana. Non è una questione di reddito ma di invisibilità e fragilità. In queste settimane in cui tutto ruota attorno alla gioia, io preferisco volgere lo sguardo altrove: verso chi resta ai margini della festa e per me, il luogo simbolo dell’emarginazione, è un Istituto Penale per Minorenni. Quando si parla dei ragazzi del carcere minorile, si tende a stigmatizzarli come “irrecuperabili che hanno scelto quella strada”, dei “violenti per natura.” Ma chi sono veramente questi ragazzi? Mi avrebbe fatto piacere incontrarli e raccontare le storie dei giovani dell’Ipm di Potenza ma per questioni burocratiche legate ai permessi, non è stato possibile farlo in questa occasione. Ho avuto però modo di scambiare qualche parola con Tiziana Silletti, “Garante regionale detenuti, vittime di reato, salute e anziani”, e ci impegneremo entrambe affinchè questi incontri possano avere luogo, in modo da permettere alle storie dei giovani ospiti, di oltrepassare le mura dell’istituto penitenziario. Il racconto diventerà quindi un mezzo da usare contro i pregiudizi perché se si ha la sensibilità o anche solo la volontà di andare oltre il reato, ci si accorge che non si ha a che fare con “mostri”, né con “baby criminali”, come sostiene chi, in assenza di contenuti, fa della superficialità, dell’ignoranza e del perenne scontro tra ultras, la propria cifra personale e lavorativa. Spesso si tratta di ragazzi che hanno conosciuto la violenza prima dell’adolescenza, la povertà prima della scuola, la solitudine prima dell’amicizia. C’è poi un altro aspetto che, a mio avviso, è meritevole di attenzione: l’impatto che alcune serie televisive basate sull’esaltazione di mondi proibiti, può avere sulle fragilità ed i desideri dei giovani. Un ragazzo che vive nella marginalità e nella povertà educativa, in assenza di adulti di riferimento in ambito familiare o scolastico, può trovare in quei personaggi una scorciatoia identitaria. In questo modo la violenza diventa la soluzione rapida ai problemi ed il carcere appare come un luogo epico, addirittura ambito. Come tutte le tematiche complesse, la soluzione di questo problema non può essere semplice. Personalmente non credo serva vietare le serie ma insegnare a leggerle. E’ necessario offrire ai ragazzi modelli alternativi, reali, credibili e soprattutto creare un dialogo con loro perché il punto non è spegnere la TV, ma stimolare le conversazioni. Nelle famiglie che vivono un Natale sereno, questo periodo potrebbe diventare un’occasione preziosa per fermarsi e ascoltare davvero i più giovani, invece di lasciarsi travolgere dalla frenesia delle feste. Un gesto semplice ma capace di ricordarci quanto sia diverso il tempo vissuto da chi trascorre le festività in un penitenziario minorile. Ho chiesto di questo, cioè di come trascorreranno le prossime festività i ragazzi dell’IPM di Potenza, alla dott.ssa Silletti.
Ecco un estratto della sua risposta:
«Il Natale è un tempo che pesa più di altri. In questi giorni, le emozioni si fanno più forti. La nostalgia si acuisce, il silenzio diventa più rumoroso, e il bisogno di sentirsi ancora parte del mondo emerge con forza. Le feste, per loro natura, amplificano ciò che si porta dentro. Ed è proprio per questo che all’interno dell’IPM di Potenza nessuno viene lasciato solo. Accanto ai percorsi educativi e scolastici che proseguono con continuità, durante il periodo natalizio prende vita un calendario di attività pensato per accompagnare i ragazzi, non per distrarli dalla loro realtà, ma per renderla più umana. Ci sono canti che riempiono i corridoi, voci che si intrecciano, gesti semplici che assumono un significato profondo. Ci sono operatori, educatori, agenti e volontari che scelgono di esserci anche nei giorni di festa, alternandosi nei turni per garantire presenza, continuità, attenzione. Una presenza che non giudica, ma accompagna. Non è un Natale facile, e non vuole esserlo raccontato come tale. Per alcuni ragazzi non ci sarà un ritorno a casa, né un abbraccio familiare ad attenderli. Ma c’è una comunità che prova, ogni giorno, a non spezzare il filo della speranza, a costruire spazi di relazione, a tenere accesa una luce anche quando fuori sembra lontana. Come Garante regionale, sento il dovere di riconoscere il valore di questo lavoro silenzioso, che nei momenti più fragili dell’anno diventa ancora più essenziale. Perché il Natale, anche in un istituto penale minorile, può essere un tempo di cura, di ascolto e di umanità. E perché nessun ragazzo dovrebbe sentirsi invisibile o solo».
In passato ho avuto modo di fare qualche esperienza di volontariato con i minori detenuti, di conoscere in parte le loro storie e sono convinta che dietro l’errore commesso, ci siano ragazzi che possono cambiare e diventare adulti migliori, se gli si offre questa possibilità in modo sincero.
Alla fine, il punto è semplice: il Natale degli “ultimi” dice molto del Natale dei “primi”. Dice quanto siamo capaci di includere, di vedere, di ascoltare. Dice se siamo una società che punisce e basta, o una che prova a capire ed investe sul reinserimento dei giovani detenuti, non come favore ma come responsabilità collettiva poiché ogni ragazzo che torna a camminare nella legalità rappresenta una vittoria per tutti.
A chiusura di questo articolo che prova a raccontare il Natale degli “ultimi”, il pensiero non può che oltrepassare i confini e raggiungere tutte le popolazioni divorate dalla guerra, dallo sterminio di Gaza all’Ucraina, a tutti i popoli che subiscono in tanti altri angoli dimenticati del mondo. Sullo sfondo, un’Europa che parla di pace finita e di riarmo. Se questa festa nasce per restituire dignità a chi non ne aveva, allora il nostro compito è non distogliere lo sguardo, non normalizzare l’orrore, non accettare che la violenza guidi il nostro futuro. In uno scenario simile, “ultimi” lo siamo un po' tutti, chiediamoci quindi in mezzo a un mondo che si arma e combatte: da che parte vogliamo stare?
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