IL MATTINO
Cultura
05.12.2025 - 12:52
Quando Sergio Sollima, già noto per i suoi spaghetti western, riuscì a dare al racconti di Emilio Salgari un tono epico e realistico, evitando una semplice trasposizione da romanzo d’avventura, erano gli anni '70. Un periodo storico lontanissimo dall'epoca in cui Sandokan nacque, dal pennino in acciaio dello scrittore, piemontese di adozione, ma forse proprio perché si trattava di un periodo storico ricco di contrasti, quello sceneggiato ebbe un successo enorme, imparagonabile con qualsiasi successo contemporaneo. Allora esisteva solo la Rai e i dati audience si misuravano su una platea molto più vasta di quella odierna, più parcellizzata e distratta.
In quegli anni la TV era il principale mezzo di intrattenimento familiare in Italia e in Europa.
Il pubblico era affamato di storie di eroismo e di libertà, e Sandokan incarnava valori come il coraggio, la lealtà e la lotta contro l’oppressione.
La combinazione di esotismo e ribellione affascinava un’epoca ancora influenzata da riflessioni post-coloniali.
Il protagonista della serie, Kabir Bedi, fu scelto tra decine di attori perché, oltre all’aspetto fisico, parlava l’italiano e riusciva a rendere credibile il personaggio.
Sandokan con Kabir Bedi non fu solo un grande successo televisivo, ma anche un vero fenomeno di costume, capace di consolidare l’immaginario dell’avventura esotica e influenzare la cultura pop degli anni ’70.
L'attore indiano, che già lavorava in cinema e televisione in Europa, divenne un' icona internazionale grazie a Sandokan, che divenne un mito televisivo, con Kabir Bedi identificato per sempre nel ruolo.
Egli incarnava perfettamente l’eroe romantico e avventuroso. Il suo fascino esotico, unito alla forza e alla presenza scenica, lo rese memorabile per tutte le fasce di pubblico. L’interpretazione intensa rese Sandokan un personaggio umano oltre che eroico, un elemento chiave per il coinvolgimento emotivo.
La lotta tra bene e male, l'amore impossibile e la vendetta, su cui si regge la storia, sono temi universali, che attraversano culture e generazioni e la capacità di Salgari e di Sollima (di adattare per la Tv i romanzi di Salgari) di tenere ben saldi e bilanciati i fili dell'azione, dell’avventura, dell’esotismo e del romanticismo, contribuirono a coinvolgere sia i ragazzi sia gli adulti.
Le location esotiche realistiche e le scenografie curate fecero il resto. Le Maldive, la Thailandia e parti dell’Italia furono usate per ricreare la Malesia del XIX secolo. I costumi, le scenografie, i dettagli storici studiati con attenzione, aumentavano il senso di immersione. E poi c'era la colonna sonora, memorabile, composta dai fratelli De Angelis, gli Oliver Onions, a tutti gli effetti il “personaggio” della serie, come accadeva allora con tutte le serie Tv di successo, in cui la colonna sonora rappresentava il filo su cui dipanare la storia, così da legare, per sempre, gli spettatori. Come ancora dovrebbe essere, accade di rado.
Le melodie rimasero popolari anche dopo la trasmissione, contribuendo a mantenere vivo il mito di Sandokan.
La fiction fu venduta in 85 paesi tra cui la Germania, la Francia, i Paesi nordici, l' America Latina e persino India.
La sua capacità di superare barriere linguistiche e culturali contribuì a renderla un fenomeno globale.
La serie originale fu seguita da “La tigre è ancora viva” nel 1977, e altre produzioni successive, mantenendo vivo l’interesse e creando un vero e proprio “brand televisivo”.
Frasi e scene della serie entrarono nell’immaginario collettivo italiano degli anni ’70.
Fu una delle prime produzioni italiane a ottenere una grande risonanza internazionale.
Il successo portò a libri, fumetti, raccolta di figurine, gadget e successivi sequel televisivi.
Emilio Salgari una vita romanzata
Correva l’anno 1862 quando, nella Verona solenne delle mura austriache, venne al mondo un bambino dai capelli scuri e dagli occhi inquieti. Nessuno sapeva che in quel piccolo corpo si nascondeva lo spirito indomabile della Tigre, che avrebbe sognato oceani e giungle.
Il bambino crebbe sgranando mappe, come altri leggono fiabe, e ascoltando il sussurro della carta dei libri come fosse il vento dei monsoni.
A Venezia, tra le calli odorose di sale, inseguì il sogno della marina, ma il destino lo trattenne a terra.
Non sarebbe stato capitano di navi, bensì capitano di mondi.
La penna divenne la sua scimitarra.
La pagina bianca il suo mare.
A Torino, nella città fumosa delle rotative, combatteva ogni giorno la sua battaglia contro il tempo, contro i debiti, contro gli editori che gli chiedevano avventura e gli davano in cambio monete spicciole.
Così nacquero Sandokan, Yanez, Tremal-Naik, fratelli d’armi, frutto della fatica e dell’orgoglio di un uomo che non abbandonava mai il ponte di comando.
Quando la vita gli tolse la pace e il dolore divenne troppo grande, Salgari scelse l’unica via che credeva gli rimanesse.
Ma la sua leggenda non finì quella mattina del 25 aprile 1911.
Prese il largo, come un veliero, e ancora oggi solca l’immaginazione di chi ama i mari lontani.
La mappa reale degli spazi in cui visse visse, camminò e scrisse a Torino Emilio Salgari
Negli anni più difficili Emilio Salgari abitò in borgo San Donato, un quartiere popolare, circondato da officine, fumo e rumore di fabbriche, in feroce, ma salutare, contrasto con i mari tropicali di cui scriveva.
In seguito si spostò in corso Valdocco, la zona dei giornali e delle tipografie, in cui si recava per consegnare i capitoli ai redattori, entrando nelle stanze tra odore di piombo fuso e di rotative.
Infine si trasferì in Via Cibrario, dove visse con la famiglia, in un appartamento modesto, con libri ovunque, e una finestra sulla città industriale.
In zona Porta Palazzo invece si trovava l’Editrice Speirani, in un edificio ora scomparso, ma che allora era centrale perché era il luogo dei contratti, delle bozze, delle pressioni. Ma era la Biblioteca Nazionale Universitaria Il suo “porto sicuro”. Qui studiava atlanti, volumi di zoologia, resoconti di esploratori.
Amava poi frequentare locali popolari, non quelli eleganti ma osterie di periferia, caffè modesti.
E per respirare e passeggiare a lungo andava in collina, in villa Regina Margherita, dove poteva guardare Torino dall’alto, tra gli alberi e il silenzio.
Il luogo della sua morte, sulle colline di San Martin,o nel posto più alto di un bosco fittissimo presso la strada del Lauro, oggi è un punto di memoria letteraria.
Una giornata di scrittura con Emilio Salgari
È l’alba. Torino è ancora avvolta nella nebbia, i tram addormentati, il Po immobile.
Nell’appartamento di via Cibrario, una luce tremola dietro le persiane.
Salgari è già sveglio.
Il calamaio, accanto alla finestra, sembra un piccolo mare nero.
Le sue dita odorano d’inchiostro.
Davanti a lui, una carta della Malesia aperta sul tavolo: Kuala Lumpur, Sarawak, Labuan.
«Sandokan oggi attraverserà la giungla,» mormora. «E Yanez… Yanez riderà come sempre.»
Scrive veloce. La stanza è fredda, ma la sua fronte è sudata.
La moglie dorme, i bambini sono ancora nel mondo dei sogni.
Alle undici bussa alla porta il postino con un’altra lettera dell’editore.
“Sollecitiamo i prossimi due capitoli”.
Un’ansia tagliente gli attraversa lo stomaco.
Poi guarda la finestra, un riflesso di luce sembra una vela lontana.
Riprende la penna.
Nel silenzio della stanza, si ode solo il fruscio rapido delle pagine riempite.
E la Tigre della Malesia corre ancora.
L'editoria popolare del suo tempo
L'editoria popolare a Torino era una fabbrica, una catena di montaggio narrativa, gli autori malpagati, ma i libri, che erano rivolti alla massa, si vendevano e per questa ragione la serialità era spinta.
I tempi di lavorazione erano strettissimi. I romanzi usa e getta”, con un' estetica e una poetica melodrammatica e sensazionalistica.
Il pubblico era composto da: operai alfabetizzati, studenti, impiegati, donne che scoprivano la lettura popolare e giovani in cerca di evasione
Insomma la letteratura aveva una funzione sociale, doveva educare senza dichiararlo, offrire sogni e avventure, creare identità nazionali e cementare un immaginario condiviso, mentre diffondeva conoscenze geografiche alternative e Salgari fu, senza volerlo, un creatore di immaginario nazionale.
Come si documentata Emilio Salgari
Emilio Salgari si documentava attraverso enciclopedie geografiche, manuali di marina, riviste scientifiche e divulgative, resoconti di esploratori inglesi, olandesi, francesi, atlanti dettagliati dell’Ottocento e cataloghi naturalistici
Insomma leggeva, prendeva appunti, schedava, costruiva mappe mentali,
stendeva il capitolo, ne verificava la coerenza e correggeva i termini tecnici
Era uno studioso autodidatta dalla disciplina impressionante.
Sandokan, Yanez e il Corsaro Nero, piccola analisi psicologica
Sandokan, il suo personaggio più famoso, è impulsivo, passionale ma ferito nell’onore, tanto da diventare un idealista generoso con i deboli ma anche incapace di compromessi, al punto di soffrire di malinconie profonde.
In pratica era/ è l'alter ego emotivo di Salgari.
Yanez al contrario è razionale, ironico, osservatore, uno stratega distaccato ma adattabile. Rappresenta ciò che Salgari non era e cioè la sicurezza, la leggerezza, la lucidità.
Il Corsaro Nero invece è tormentato, orgoglioso, vendicativo, aristocratico, tragico fedele, fino alla morte. E lo specchio dello scrittore, riflette il suo dolore biografico.
Nota a piè di pagina
Il mondo dell'editoria non è molto cambiato da quando Emilio Salgari scriveva, come non è cambiata la condizione dello scrittore, che per portare a compimento il proprio lavoro deve andare oltre il contingente e oltre la realtà.
La serie attualmente prodotta, in partenza da Luca Bernabei per la Lux Vide e poi diventata una produzione internazionale, è comunque godibile e ben fatta. Strizza l'occhio al cinema americano epico, e questo non è un male. I risultati in termini di audience sembrano confermare il gradimento, quanto meno “il legame” al Sandokan di Sollima, visto che i sessantenni e i settantenni italiani allora erano giovani, e, oggi, sono lo zoccolo duro per la fruizione di questi prodotti televisivi.
L'utilizzo della stessa colonna sonora, rimasterizzara dell'originale, è stata geniale e necessaria, ma non tornerà più quel tempo, quando il lunedì, dopo avere visto Sandokan in TV, andavo ad acquistare le figurine per il mio album e il giornalaio mi diceva: «Domani Kabir Bedi sarà qui», e io tornavo a casa felice, a godermi l’attesa per l'incontro, il giorno successivo, con la tigre di Mompracen dal vivo.
Un'emozione indescrivibile.
«Come venne scelto?
«Il regista Sergio Sollima voleva un attore asiatico, possibilmente indiano. Mi contattarono dopo avermi seguito a teatro: arrivai a Roma a mie spese, era inverno e
non avevo neanche il cappotto, un freddo cane! Mi fecero nuotare, cavalcare, tirare di scherma e correre, oltre che fissare intensamente la macchina da presa: in una settimana, la parte fu mia».
Ha usato molte controfigure?
«No, e una volta ho anche rischiato di affogare».
Cosa le resta dell’Italia?
«Intanto, mi hanno fatto Cavaliere della Repubblica e ne vado
molto fiero. L’Italia è casa mia. Sandokan andava in onda in un momento assai doloroso per il vostro Paese, c’era il terrorismo. Noi portavamo un po’ di svago nelle case, la sera. E piacevamo tanto ai bambini».
E poi, tutte quelle fan.
«Sì, tantissime. Ma quelli che ricordo con maggiore affetto sono gli operai della Fiat Mirafiori, a Torino: quando andai a incontrarli in fabbrica, in tanti avevano in mano un libro di Salgari».
E dopo tanto tempo?
«La gente mi chiama ancora Sandokan».
(Maurizio Crosetti per La Repubblica intervista a Kabir Bedi del 3 dicembre 2025)
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