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«Non è un lavoro, è uno stile di vita»: la scelta radicale di un trentenne lucano tra allevamento, sport e turismo

Una laurea in veterinaria e un’azienda che parte dai cereali e arriva al turismo esperienziale con i cavalli Haflinger. Emanuele Lamacchia racconta una vita «che non conviene», tra siccità, burocrazia e investimenti continui, ma che ripaga con libertà, identità e l’idea ostinata che in Basilicata si possa costruire futuro

«Non è un lavoro, è uno stile di vita»: la scelta radicale di un trentenne lucano tra allevamento, sport e turismo

Radici profonde nella terra e sguardo rivolto al business: è questo il tandem vincente alla base del passaggio da “contadino” ad “imprenditore agricolo”. E’ semplice? Assolutamente no, nella vita rurale niente lo è perché le difficoltà spesso pesano più delle soddisfazioni. E allora, cosa spinge un ragazzo a intraprendere questa strada? In un nuvoloso pomeriggio lucano, l’ho chiesto ad Emanuele Lamacchia, trentenne materano che ha scelto di dedicarsi all’azienda di famiglia.
Lei ha conseguito una maturità classica ed una laurea in medicina veterinaria presso l’università degli studi di Bari “Aldo Moro”, avrebbe potuto percorrere strade più semplici ed invece ha scelto di dedicarsi all’agricoltura ed all’allevamento: perché?

«Sinceramente non ho mai dovuto fare questa scelta perché è come se il mio cammino fosse segnato ma non per imposizione. Più che altro perché volevo dare il mio contributo alla storia familiare, una sorta di puzzle in cui ogni generazione ha aggiunto un tassello. Mio nonno aveva avviato l’azienda agricola focalizzata sulla produzione di cereali e per lui i cavalli erano solo un diletto; mio padre, che ha portato avanti in parallelo il lavoro di architetto con l’impegno in azienda, ha iniziato ad allevare in selezione i cavalli di razza Haflinger; io ho aggiunto la componente sportiva chiudendo così il cerchio e nel frattempo mi sono laureato in medicina veterinaria».

Quando parla di componente sportiva a cosa si riferisce?
«Alla patente per diventare istruttore presso il centro di equitazione che ho implementato in azienda insieme al maneggio. E’ stato il mio contributo al “puzzle” familiare di cui parlavo prima: con mio nonno siamo partiti dalla “terra”; mio padre l’ha reinventata e ammodernata anche a livello strutturale; il mio tassello è l’inclusione del “terzo settore” che ci permette di lavorare con i turisti, ampliando ancora di più la gamma».

Conosco il mondo agricolo perché vengo da lì essendo il lavoro della mia famiglia. E’ impegnativo e faticoso a 360 gradi in quanto all’impegno fisico si sommano le preoccupazioni legate alle incertezze. Questo discorso vale anche per lei?
«Assolutamente si, se lo avessi considerato un lavoro, non lo avrei scelto perché non è conveniente dal punto di vista economico né tantomeno dal punto di vista del tempo libero, del cosiddetto “worklife balance”».

Alla luce di questo, si è mai pentito della scelta?
«Tutti i giorni decido che quello successivo venderò però poi il giorno dopo penso a cosa posso fare di più, a come migliorare. La verità è che questo è uno stile di vita, io dico sempre che non faccio l’allevatore e l’agricoltore, io lo sono, è un concetto diverso. Ormai ho capito che i momenti di sconforto fanno parte del gioco anche perché le problematiche sono così tante che ogni giorno ti scoraggi e pensi che non ce la puoi fare. Guarda ad esempio il problema della carenza dell’acqua con cui ci stiamo scontrando. Chi abita in un appartamento in città, non lo considera tale invece per noi è un limite enorme. Il problema non è nato negli ultimi mesi, c’è da sempre, ricordo che ne parlava già mio nonno, la differenza è che negli ultimi anni la questione era stata un po' trascurata ed adesso ne paghiamo le conseguenze».

Come si può fronteggiare questo disagio?
«Rispondo con una domanda: come si fa a dire, senza acqua, che l’agricoltura deve essere il settore trainante della Basilicata? L’agricoltura senza acqua è impossibile, è un contro senso. Molti politici, indipendentemente dal colore, manifestano un interesse verso il problema ma secondo me lo fanno per nascondere errori del passato perché la gestione, da tanto tempo, è stata fatta male ed ammettere i propri sbagli è difficile per tutti. La situazione adesso però è insostenibile. Ormai anche la soluzione di emergenza di attingere all’acqua di falda, dal sottosuolo, è a rischio perché la pressione è diminuita tanto negli ultimi due anni. Ad aggravare la situazione ci sono poi gli sprechi».

Cambiando registro, quali sono invece gli aspetti positivi della vita che ha scelto?
«La libertà. Sembra retorico ma l’agricoltore è veramente libero in tutti i sensi, dal contatto con la natura alla qualità altissima della vita. Io ne ho conferma tutte le volte che lavoro con i turisti e quindi incontro gente che proviene da tutto il mondo. Da quando Matera è diventata famosa, siamo entrati nel vortice del turismo ed io incontro gente proveniente dalla California, dall’Australia, abituata quindi ad un tenore di vita alto, che quando viene da noi dice “allora il paradiso esiste, è qui”».

Il lavoro con i turisti stranieri, e quindi la necessità di comunicare in un’altra lingua, è un’ulteriore competenza necessaria per il passaggio da contadino ad imprenditore agricolo. Quali sono le altre?
«Innanzitutto la burocrazia, è un problema per noi agricoltori che per definizione siamo concreti. Porta via tanto tempo e bisogna anche saperla fare. Io sono fortunato perché mia moglie è commercialista ma sicuramente quello burocratico è un aspetto fondamentale. L’altra grande trasformazione è la comunicazione che ha riguardato tutti i settori ed anche, anzi soprattutto, il nostro perché noi vendiamo esperienze. Adesso bisogna essere social (mima le virgolette con le dita) e mostrare il prodotto nel migliore dei modi per poterlo vendere. In quest’ottica abbiamo di recente partecipato all’Agrilevante che per la nostra azienda è una vetrina importante essendo attivi su due fronti tra loro comunicanti: sia l’allevamento di cavalli di razza Haflinger che la parte sportiva ed enogastronomica. Ciò che tiene insieme tutto è l’obiettivo finale, il nostro “core business”, che consiste nel fare un turismo esperenziale con la razza tipica della nostra terra. Perché, anche se magari il nome può trarre in inganno data l’origine sud tirolese, l’Haflinger è in Basilicata da più di 120 anni e secondo il ministero, una razza diventa autoctona quando è in una regione da 40 anni. Pertanto ci stiamo impegnando a far riconoscere l’Haflinger lucano come una razza tipica in modo da poterlo supportare con più energia ed uno sforzo maggiore anche da parte della politica. Io da sempre cerco di fare squadra anche se con molta difficoltà perché si tende a stare nel proprio orticello piuttosto che pensare ad un progetto più ampio. Onestamente credo di aver fatto la mia parte, ho raggiunto e superato gli obiettivi che mi ero posto, adesso bisogna credere di più nel nostro territorio, metterci tutti insieme per creare un futuro per le nuove generazioni, cosa a cui penso ancora più spesso da quando sono padre».

A suo figlio piace questa vita?
«Per ora si ma il momento critico sarà l’adolescenza e vedremo cosa succederà. Lo vedo dai miei allievi della scuola di equitazione perchè per uniformarsi al mondo che li circonda che sembra andare in un’altra direzione, per non rimanere isolati, decidono di abbandonare questa passione».

Lei non ha mai avuto paura di rimanere isolato?
«No, forse perché sono stato bravo ad equilibrare le due cose ma soprattutto perché avevo deciso che questo doveva essere il mio futuro. Pertanto per me era naturale investire sulla mia passione e lavorarci già da quando avevo 12-13 anni … e poi è chiaro che se scegli questa vita, vuol dire che non sei normale (ride). A parte gli scherzi, io credo che per essere agricoltore ed allevatore, sia necessario un certo mix di valori e carattere, a cominciare dalla sincerità che è la prima cosa che impari confrontandoti con la genuinità della natura. Questo ti porta a fare molta selezione perché di gente sincera in giro ce n’è poca. Quindi scremi e tieni vicino solo le persone che reputi migliori».

È la sincerità il tratto lucano in cui si riconosce maggiormente?
«Si ma ti direi anche l’accoglienza, cosa che mi viene confermata dai turisti stranieri. Vuoi per le differenze di lingua e cultura, all’arrivo sono sempre un po' freddi però poi alla fine dell’esperienza restano talmente colpiti che qualcuno mi abbraccia, nonostante di fatto abbiamo passato insieme solo un’oretta. Credo che sia dovuto al modo in cui ci poniamo e questo secondo me fa parte della nostra natura che ci porta ad interessarci alle persone che abbiamo di fronte e ai loro bisogni, anche senza conoscerle».

Qual è invece un tratto negativo che secondo lei ostacola la crescita della Basilicata?
«L’assenza di visione perché manchiamo di progettualità e tendiamo ad accontentarci. Dovremmo imparare ad essere un po' più orgogliosi e testardi come i nostri vicini pugliesi».

È per questo che un’associazione di Matera aveva indetto un referendum per staccarsi dalla Basilicata? A proposito, com’è finita?
«Secondo me quella era solo una provocazione, noi materani siamo contenti ed orgogliosi di essere lucani».

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