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05.11.2025 - 12:19
«La Basilicata è la sola regione italiana, con la Sardegna, che permette il prelievo di qualsiasi tipo di roccia senza incassare un centesimo». Lo denuncia Legambiente Basilicata, commentando il report Cave 2025, uno studio sul settore delle attività estrattive. Secondo l’associazione del cigno verde, «se venisse applicato un canone, come avviene in Gran Bretagna, pari al 20% dei prezzi di vendita, gli introiti delle Regioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia salirebbero a 66 milioni di euro. In Basilicata, ad esempio, si potrebbero incassare 368mila euro ogni anno solo per i quasi 200mila metri cubi di sabbia e ghiaia estratti. Se un canone di questo tipo fosse stato introdotto negli ultimi dieci anni, si sarebbero potuti generare quasi quattro milioni di euro di entrate per le casse pubbliche regionali, fondi estremamente importanti per il ripristino ambientale dei siti estrattivi». In Basilicata, secondo i dati Legambiente, ci sono 53 cave autorizzate (di cui circa 40 attive) e 181 cave dismesse o abbandonate, comprese quelle già recuperate. «Resta ancora aperta – sottolinea Legambiente – la problematica relativa all’assenza di un piano di recupero per le aree di cava chiuse prima del 1979, per le quali servirebbero un censimento e una conseguente riqualificazione ambientale, nonostante la rinaturalizzazione spontanea di molti di questi luoghi». Manca inoltre un piano regionale per le attività estrattive e, in assenza di una programmazione, «non esistono divieti espliciti di attività in aree sensibili come parchi, riserve, siti Natura 2000 o aree archeologiche». Anche le sanzioni sono considerate «incredibilmente basse rispetto al danno ambientale»: in Basilicata per la violazione del progetto approvato si pagano al massimo 20mila euro, mentre per escavazioni abusive le multe sono calcolate sul materiale estratto. «A dimostrazione di quanto la questione dei ripristini ambientali sia cruciale – ha spiegato il presidente di Legambiente Basilicata Antonio Lanorte – nel report viene descritto un caso recente relativo alla presunta esistenza in Regione di un vero e proprio sistema che avrebbe coinvolto imprenditori del settore estrattivo e funzionari regionali, finalizzato ad evitare ai primi di sostenere le onerose attività di ripristino ambientale grazie a regalie e vantaggi economici. Una violazione sostanziale e reiterata delle norme a tutela dell’ambiente e del paesaggio».
Ma quello della terra non è l’unico torto che la Regione Basilicata si lascia scivolare addosso. C’è anche l’acqua. L’Acquedotto Pugliese (Aqp) ha ridotto i flussi destinati ai lucani, nonostante gran parte dell’acqua utilizzata in Puglia provenga proprio dalla Basilicata. A Missanello, in provincia di Potenza, Aqp gestisce l’impianto di potabilizzazione dell’acqua proveniente dal Pertusillo, e ha ridotto di 60 litri al secondo la portata destinata ai comuni lucani, dove a metà novembre scatteranno interruzioni a singhiozzo. Acquedotto Lucano rassicura: le restrizioni interesseranno Matera e Montescaglioso nel Materano, e Melfi, Venosa, Atella, Barile, Filiano, Lavello, Palazzo San Gervasio, Rapolla e Rionero nel Vulture, ma non ci sarà un blocco totale, bensì un’alternanza programmata. La situazione degli invasi resta però critica. Aqp attinge il 58% dell’acqua da cinque bacini: Occhito, Sinni, Pertusillo, Conza e Locone. Oggi le dighe lucane sono ai minimi: il lago di Monte Cotugno a Senise, la diga in terra più grande d’Europa, ha perso 26 milioni di metri cubi rispetto allo scorso anno, scendendo a 38,5 milioni su una capacità di 272. Il Pertusillo ha perso 20 milioni di metri cubi, e Occhito è a soli due milioni dal “volume morto”. Coldiretti Puglia denuncia che si registrano appena 42 milioni di metri cubi disponibili su una capacità utilizzabile di 250 milioni. «Stiamo messi male – ha detto Giuseppe De Filippo, presidente del Consorzio di Bonifica della Capitanata – ma non peggio dell’anno scorso: allora avevamo solo 31 milioni di metri cubi». L’emergenza si riflette pesantemente sull’agricoltura. «Le ripercussioni legate alla carenza d’acqua – spiega la confederazione agricola – sono già gravi: a rischio le produzioni di ortaggi e verdure, e nei pascoli c’è un drastico calo del foraggio verde».
Per Antonio Decaro, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Puglia, l’emergenza idrica sarà una delle prime questioni da affrontare. Il suo progetto “Puglia Acqua Futura” prevede l’adeguamento di 45 impianti di affinamento e la realizzazione di altri 31, con l’obiettivo di riutilizzare fino a 150 milioni di metri cubi all’anno di acque reflue depurate per usi agricoli e industriali. Decaro punta anche alla diversificazione delle fonti tramite il collegamento tra l’invaso del Liscione in Molise e il sistema del Fortore, e su interventi per ridurre del 2% annuo le perdite idriche, con un risparmio di 15 milioni di metri cubi. Ma boccia senza mezzi termini l’idea dei dissalatori, come quello previsto da Aqp a Taranto, definito «inutile e dannoso» dalle associazioni. «C’è un problema tecnico su come e dove smaltire la salamoia – ha detto Decaro –. Meglio puntare sull’acqua del Molise: sarà l’argomento del futuro, ma bisogna fare in fretta».
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