Cerca

Cultura

Racconto: il Bidone, 1929

Racconto: il Bidone, 1929

Il 29 ottobre 1929, la Borsa valori di New York crolla. Il Big Crash, o Martedì Nero, inaugura la prima e più vasta crisi economica del mondo industrializzato 

Antefatto
Le crisi economiche seguono una narrazione che va sempre più perfezionandosi ad ogni crisi. Ciò fa sì che le crisi siano una soap, soap nella quale la protagonista è la crisi stessa, crisi che si espande come melma inglobando ogni cosa, e che relega gli uomini nell'angolo, trasformandoli da cacciatori in animali da braccare, privi di pietà e di morale. Quella del ’29 è stata la prova generale.

«È poco probabile che fra i cacciatori se ne trovi uno che non provi, almeno per una volta, un principio di pietà per una delle sue vittime, ma che pure ogni volta non cerchi di respingere un tale sentimento. Ed è così che è schiacciato il nocciolo appena schiuso della pietà, da cui potrebbe germogliare e fiorire quel sentimento più elevato e perfetto, che è l'amore. In questo costante suicidio morale è il male supremo della caccia». 

Lev Tolstoj 

Rabol

Rabol non si trovava, lo aveva cercato dappertutto.
Intorno a lui sterpi e buio.
Questo non gli impediva di muoversi rapidamente.
Si era lasciato Francis alle spalle, eppure sentiva il suo respiro corto sul collo, mentre il lamento di Rabol diventava più nitido, vicino.

La caccia

Aveva iniziato da bambino ad andare a caccia.
Si dava appuntamento con Francis alle prime luci dell'alba.
Nel bosco.
Lo conoscevano meglio di loro stessi.
Gli era tornato utile, quando il crollo della borsa gli aveva polverizzato, all'istante, le vite, trasformandoli in animali da braccare.

Oltre la siepe

Il guaito lo aveva condotto in un terreno disabitato.
Con una pinza aveva tagliato il filo spinato e camminando a carponi era arrivato accanto a un bidone.
Non riusciva a capire se a irritarlo fosse la richiesta di aiuto di Rabol o l'odore acre che gli bruciava le narici, al punto di fargli venire forti conati di vomito.
Si coprì la bocca e il naso con la benda che aveva con sé, prima di guardare dentro, e scoprire che Rabol era lì, in quel bidone pieno di acqua putrida, e in un attimo ripensò a come si era sentito quando, all'improvviso, si era ritrovato senza lavoro, e invece di aggirarsi per le strade della città, si era nascosto nel bosco insieme a Francis.
Nel bosco non c'era niente da coltivare e da fare crescere, solo terra e cielo da rapinare.
Senza rimpianti e senza dolore.

Il bosco

Il bosco era lì e li faceva sentire ancora padroni delle loro vite.
Ciò che avevano posseduto prima non poteva né vederlo, né toccarlo, né potevano attraversarlo, come potevano fare con il bosco.
Avevano smesso di essere servi del possesso.
Questo non gli impediva di aggirarsi come zombie tra le siepi e gli alberi con i cani da caccia come unici compagni, cani che li seguivano più stremati che famelici.

La caccia e le sue leggi

Di tutte le leggi del denaro infrante, quelle dalla caccia erano rimaste le uniche da rispettare.
Le leggi del denaro avevano fatto un grande falò di ciò che erano stati, imbracciare un fucile, rispettando le regole dell'eterna lotta animale era l'unica parvenza di dignità che a loro fosse rimasta.
Avrebbero voluto parlarsi ma nessun suono usciva dalle loro labbra. Il silenzio che li avvolgeva semplificava l’ingranaggio dei pensieri e rendeva privo di significato il loro dramma esistenziale.
Non vivevano più in mezzo agli altri ma nemmeno vivevano ai margini della città.
Vivevano nel bosco e dal bosco non uscivano.
Osservare chi ancora aveva un lavoro, mentre gli specchi restituivano la loro immagine di larve sporche, era una cosa che a loro non interessava.
Erano andati oltre le vite degli altri.
Meglio correre tra gli alberi e combattere la guerra della sopravvivenza, braccando gli animali, con la polvere da sparo che anestetizzava ogni cosa.
Loro due non erano uguali alle masse che si aggiravano per le strade della città in cerca di un lavoro, masse che uscivano per stare fuori di casa dodici ore, quelle necessarie per non sentirsi falliti.
A lui e a Francis la casa era rimasta, e se pure non l’avessero trovata, al loro ritorno, ci sarebbero sempre stati la caccia e il bosco.

Il buco nero

Rabol lo guardava implorandolo, eppure non riusciva a tirarlo dal bidone. Ripensava a quanti altri cani erano caduti lì, era la loro trappola, la sua e di Francis, l'ultima spiaggia contro la fame, ma erano passati trent’anni da quella crisi economica, ed erano trent’anni che non metteva più il naso in quel fusto.
Si decise a tirare fuori Rabol, lo avvolse con la coperta che portava sempre nello zaino, poi tornò indietro .
L'odore di morte gli penetrò fino a dentro le ossa, mentre Rabol guaiva nell'oscurità.

Il '29

Nel ‘29 in quel catorcio era finito anche un vagabondo. L’avevano lasciato morire e sdraiati sull'erba ne avevano ascoltato i graffi sulla lamiera, poi l’avevano dato in pasto ai cani, senza provare pietà e vergogna.

La crisi

Dopo tanti anni la parola crisi risuonava ancora una volta nell'aria e nel bosco non c’era più pace.
Dalla città un numero crescente di uomini si trasferiva lì, imbracciando il fucile per difendersi dalle macchine.
Erano le macchine a comandare adesso e da quelle bisognava difendersi.
I fucili non sparavano pallottole ma chiodi, chiodi che servivano a bloccare gli ingranaggi di quei colossi di ferro.
Spaventose macchine stavano anche a guardia del bosco.
Le colonie di umani che ci vivevano si cibavano di pillole, animali non ce ne erano più da uccidere per sopravvivere. Erano le macchine a lasciare, ogni giorno, davanti ai cancelli del bosco, enormi pacchi di pillole che venivano distribuite all’alba e al tramonto.

Il passato che ritorna

Aveva chiamato Francis, non ce la faceva a guardare da solo nel bidone, ancora sentiva nelle orecchie il rumore delle unghie e i lamenti del vagabondo del ’29.
Lo capovolsero senza parlarsi.
L'acqua sporca diventò una macchia scura e appiccicosa sull'erba, mentre il corpo del direttore delle macchine guardiane ne occupava il centro.
Questa volta occultare il cadavere era difficile, non erano gli unici umani abitanti del luogo, e benché vivessero ai margini delle vite degli altri, le macchine conoscevano i loro movimenti. Di lì a poco sarebbero arrivate per il controllo serale e la consegna delle pasticche per la cena.

La soluzione

Rabol aveva smesso di guaire, come se avesse compreso che il silenzio era una necessità di sopravvivenza in quel momento anche per lui, mentre lui e Francis rapidamente, rimisero il corpo del direttore all'interno del fusto.
Con una certa fatica lo trascinarono accanto agli altri bidoni, quelli in cui venivano ammassati i pezzi di macchine malfunzionanti e che ogni giorno venivano smaltiti con grande velocità.
Le macchine spazzino li avrebbero raccolti e che dentro ci fossero un uomo o pezzi di macchine per loro non avrebbe fatto la differenza.
Come non avrebbe fatto la differenza che il direttore fosse morto.
Nessuno avrebbe cercato il colpevole, un colpevole inesistente, era facile cascare in un pozzo nero, bastava sporgersi e in un attimo si finiva inghiottiti dall'acqua sporca, nel ‘29 e anche adesso, una cosa che le macchine non potevano sapere ma loro sì.
E poi ormai un uomo valeva poco meno di una macchina.
Con questa convinzione e senza alcun rimorso si allontanarono dal centro di raccolta detriti e imbracciando il fucile si dileguarono come ombre tra le macchine, il cui rumore spezzava il silenzio del bosco, mentre della macchia melmosa del cadavere non c’era più traccia nella notte.


Tratto da Tina - Storie della Grande Estinzione, 2020 Aguaplano, Perugia

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione