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Autovelox, l’odio corre veloce: quando la sicurezza diventa un bancomat

Quando il dispositivo è nascosto dietro un cespuglio, piazzato in curva o segnalato male, il messaggio cambia. Non è “rallenta per la tua sicurezza”, ma “ti abbiamo fregato”

Autovelox, l’odio corre veloce: quando la sicurezza diventa un bancomat

Gli autovelox - sacrosanti in determinati luoghi a rischio - dovrebbero essere strumenti di tutela, non trappole di profitto. Tuttavia in molti Comuni, da tempo, sono spuntati come funghi e soprattutto sono diventati il simbolo di un sistema che punisce.

C’è una linea sottile tra prevenzione, rispetto delle regole e provocazione. E gli autovelox, in molte città italiane, l’hanno abbondantemente superata. Da strumenti di sicurezza stradale a simboli di rabbia popolare, i rilevatori di velocità sono diventati il bersaglio delle invettive di automobilisti esasperati, cittadini indignati e pendolari stanchi di sentirsi trattati come bancomat su ruote. Quando un autovelox spunta in una strada rettilinea a doppia corsia di marcia, priva di traffico pedonale, lontana da scuole o pericoli evidenti, il dubbio non è solo legittimo: è inevitabile. “Qui non c’è nessun rischio, ma il Comune ci fa cassa” è il mantra che si ripete in ogni bar, ogni gruppo WhatsApp, ogni commento sotto le notizie locali. E spesso i numeri lo confermano: migliaia di multe in pochi giorni, con picchi record che fanno pensare più ad una strategia fiscale che alla tutela della vita. La funzione originaria dell’autovelox è chiara: dissuadere dalla velocità e proteggere le persone. Ma quando il dispositivo è nascosto dietro un cespuglio, piazzato in curva o segnalato male, il messaggio cambia. Non è “rallenta per la tua sicurezza”, ma “ti abbiamo fregato”. E questo genera frustrazione e sfiducia. Chi guida non è un criminale. È un lavoratore, un genitore, un giovane, un anziano. E quando la repressione prende il posto dell’educazione, il rapporto tra istituzioni e cittadini si incrina. Perché non si può parlare di sicurezza senza trasparenza, senza dialogo, senza rispetto. E soprattutto, senza coerenza: perché se da un lato si installano autovelox in zone tranquille, dall’altro si lasciano strade dissestate, incroci pericolosi e segnaletica carente. A peggiorare le cose, c’è il lato tecnico. Molti autovelox sono vecchi, non omologati, privi di manutenzione. Non c’è trasparenza sui controlli, sulle tarature, sulle certificazioni. Eppure, da quei dispositivi dipendono migliaia di euro di sanzioni, punti sulla patente, ricorsi infiniti, spese legali. Gli autovelox - sacrosanti in determinati luoghi a rischio - dovrebbero essere strumenti di tutela, non trappole di profitto. Tuttavia in molti Comuni, da tempo, sono spuntati come funghi e soprattutto sono diventati il simbolo di un sistema che punisce.

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