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Basilicata, da piccola Svizzera a grande deserto

Basilicata, da piccola Svizzera a grande deserto

“La Basilicata potrebbe essere una piccola Svizzera.” Lo ripeteva con convinzione Monsignor Salvatore Ligorio, arcivescovo di Potenza, evocando un sogno lucido e possibile: una regione capace di coniugare bellezza, sostenibilità, innovazione e benessere diffuso. Un territorio ricco di risorse naturali, con paesaggi mozzafiato, un patrimonio agroalimentare di eccellenza, una cultura millenaria e una vocazione energetica che la rende strategica per l’intero Paese. Un laboratorio ideale per sperimentare modelli di sviluppo avanzati. E invece no. La fotografia del presente è impietosa. La Basilicata è la regione che perde abitanti più velocemente di tutte: sotto le 530 mila unità, con un tasso di calo demografico record del –6,3%. Se il trend non cambia, entro il 2033 la popolazione scenderà sotto la soglia del mezzo milione. Entro vent’anni, si stima una perdita di circa 100 mila lucani. Un’emorragia silenziosa e devastante, che non è solo questione di numeri: è la desertificazione sociale di un’intera regione. I giovani partono alla ricerca di opportunità professionali e occupazionali, le famiglie a causa della precarietà lavorativa e della devastante crisi economica rinunciano a mettere al mondo figli (1,09 per donna), i borghi si svuotano, le aree interne diventano gusci vuoti, con servizi carenti e un futuro spesso negato. La Basilicata si trasforma in un luogo di transito: si nasce, si studia, si parte. E intanto la politica rincorre bandi, proclami, slogan, senza una visione strutturale, senza un piano coerente e strutturale per invertire la rotta. Si parla di “resilienza”, ma tra una vertenza e l'altra si pratica l’abbandono. Eppure le potenzialità ci sono, e sono talmente evidenti da risultare quasi imbarazzanti da elencare per l'ennesima volta. La Basilicata è terra che dona energia all’Italia intera, ma non riesce a trattenere la propria. Mentre altrove si investe in capitale umano, qui spesso si formano giovani menti che poi andranno a produrre ricchezza e valore aggiunto in Emilia Romagna, in Lombardia, in Veneto, o direttamente all’estero. Il paradosso è crudele: una regione che alimenta il Paese, ma non riesce a nutrire se stessa. Monsignor Ligorio lo aveva intuito: le condizioni per diventare una piccola Svizzera ci sarebbero tutte. Ma manca la capacità di trasformare le risorse in ricchezza condivisa, in benessere diffuso, in comunità vive. Manca il coraggio di una politica audace e ambiziosa. Manca la volontà o la capacità di costruire un progetto di lungo respiro, che non si limiti a gestire l’emergenza o gli affari correnti ma che sappia immaginare davvero il futuro. Oggi, mentre i grafici demografici precipitano e i paesi si svuotano, resta la sensazione amara di un’occasione sprecata. È una piccola Svizzera mancata, che rischia di diventare un grande deserto. E il tempo per invertire la rotta sta per scadere.

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