IL MATTINO
L'intervista
01.10.2025 - 12:25
In un tempo in cui realizzazione e successo sembrano possibili solo nei grandi centri urbani, Erminio Truncellito ha scelto la Basilicata, partendo dalla sua Valsinni. Una decisione controcorrente che parla di radici, di comunità e di un modo diverso di vivere l’arte e, nello specifico, il mestiere di attore e regista. Mi approccio a questa chiacchierata con una sorta di timore reverenziale verso chi ha trasformato la propria passione, in lavoro, senza snaturarsi e riuscendo a durare nel tempo. Ci incontriamo in una calda mattinata di fine estate nella sala consiliare di quello che per lui, più che un paese, è un'estensione di sé. Lo si capisce dalla passione con cui ne parla e dallo stretto legame con i suoi conterranei… una in particolare.
Facciamo un passo indietro, la sua famiglia d’origine come ha preso la decisione di diventare attore? L’ha supportata oppure avrebbe preferito un lavoro più “tradizionale”?
«Faccio un rapido excursus. Dopo il liceo mi iscrivo a lettere classiche con indirizzo archeologico a Fisciano (Salerno, ndr) perché all’epoca volevo insegnare, in quanto era la strada che più sentivo vicina, anche grazie all’esempio di mio padre, professore. Ovviamente parliamo di un altro Erminio, timido, impacciato, non ero come sono ora. Per una serie di situazioni, a lettere classiche non è andata come speravo ma non ho mollato e d’accordo con mio padre che è sempre stato il mio punto di riferimento, passo a lettere moderne con indirizzo artistico e dello spettacolo. Poi a un certo punto arriva nella mia vita il progetto del parco letterario, vengo investito di quella responsabilità, mi rendo conto che sapevo farlo e decido di aprire la mia partita Iva come animatore culturale. Comincio a lavorare nel settore e mi accorgo che stavo comunque insegnando ai ragazzi. Sentivo però di avere ancora il macigno dell’università che mi limitava. I miei genitori comprendono il tutto e mi dicono “se senti che questa è la tua strada, se è quello che vuoi fare, vai avanti, seguendola”. Da quel momento mi sento sollevato, alleggerito e quindi comincio a dedicarmi completamente alla mia esperienza in ambito culturale, spinto anche dalla riconoscenza verso la mia famiglia».
Dopo aver capito cosa voleva fare da grande, come si è mosso? Ha seguito dei corsi?
«Non mi sono formato in scuole di recitazione. Sono arrivato a Roma consapevole delle mie qualità professionali dopo il primo film Sexum Superandum, regia di Marta Bifano, incentrato sulla vita di Isabella Morra con un cast importante tra cui una giovanissima Micaela Ramazzotti e Patrizio Rispo, per citarne alcuni tra i più conosciuti. Come per magia, di colpo, mi ritrovo a lavorare con grandi professionisti del cinema! Da lì in poi ho avuto la fortuna di collaborare sempre con grandi attori e registi (Michele Placido, Pino Quartullo, Marco Giallini, Francesco Scianna, Riccardo Scamarcio e tanti altri). Mi sono sempre approcciato a tutto con grande umiltà e dunque ho imparato questo mestiere facendolo. Questo mi ha permesso di accorciare i tempi. La mia accademia è stata il palco, il borgo, le strade. I miei colleghi che di volta in volta ho invitato a vedere gli spettacoli del nostro Parco letterario Isabella Morra... ricordo per esempio quando è passato a trovarmi Claudio Santamaria che aveva da poco finito di girare Romanzo Criminale... mi hanno sempre detto: “abbiamo capito perché non hai avuto bisogno di fare l’accademia, hai fatto quella migliore che è stare in mezzo alla gente”. Negli spettacoli itineranti non c’è il palco, guardi negli occhi il pubblico, lo riporti dentro con te. Se affini e buchi la famosa “quarta parete”, due sono le strade o ti bruci perché fai flop oppure cresci perché vedi soddisfazione negli occhi del pubblico».
Pensa che la sua decisione di vivere lontano da una grande città l’abbia penalizzata a livello professionale?
«Mi sono posto più volte questa domanda quando ero a Roma però, da buon lucano concreto, dico che a me le cose sono arrivate quando dovevano arrivare. A Roma sono giunto dalla piccola realtà di Valsinni, parte tutto da qua. Inizialmente non pensavo di fare l’attore professionista, sono partito da una compagnia filodrammatica del luogo a dieci anni, poi ho continuato a farlo per passione, per hobby e ho scoperto che mi piaceva. Con il parco letterario ho avuto modo di praticare costantemente. Mi venne fatta la proposta di darmi in mano la gestione proprio perché avevo la passione per farlo rivivere e sentivo sempre che la gente era coinvolta durante le performance. A Roma avevo una buona agenzia, facevo provini ma il telefono non ha mai squillato così come invece ha cominciato a fare nel momento in cui sono tornato qui, perché lì evidentemente i tempi non erano maturi. Siamo nei primi anni 2000, era il 2004 per la precisione, in piena crisi del cinema e, confesso, a un certo punto ho anche pensato di mollare. Un incontro decisivo fu quello con Placido che senza molti giri di parole mi disse “se mollassi mi dispiacerebbe, perché hai qualità e, anche se sei arrivato nel momento peggiore del cinema, troverai il tuo spazio per fare il tuo mestiere dignitosamente” (al ricordo tamburella con le dita di una mano sulla scrivania, con l’altra si accarezza il mento e sorride. Poi prosegue, ndr). Allora quando guardo i miei figli, di 12 e 9 anni e vedo che nonostante le difficoltà riesco a prendermi cura della mia famiglia, provo grande soddisfazione perché riesco con un mestiere, in un tempo difficile come quello di oggi, a dargli ciò di cui necessitano».
Diceva che il telefono ha cominciato a squillare dal ritorno in Basilicata. In che anno succedeva e secondo lei, perché?
«Siamo nel 2009. L’intuizione importante, secondo me, è stata la capacità di capire qual era la direzione che il tempo e la società stavano prendendo. Mi sono detto: a Roma sono uno tra tanti, la Basilicata invece è un piccolo luogo dove opero con sicurezza da tempo. Ero ormai diventato un imprenditore culturale e avevo avviato collaborazioni con comuni e pro loco che volevano avvalersi della mia esperienza e del “modello” Valsinni per riproporlo, con le loro specificità, in contesti diversi. Inoltre Matera cominciava ad essere location di produzioni e quindi mi sono detto, proviamoci!».
Pensa che la decisione di tornare a vivere in una piccola realtà abbia penalizzato o penalizzerà i suoi figli?
«Le rispondo con una battuta tratta da una scena della fiction “Imma Tataranni” nella quale ho avuto il piacere di essere coinvolto per la terza e quarta stagione in cui la protagonista, citando la storia di Isabelle Morra, dice : “non siamo più nelle caverne, siamo usciti, ci siamo evoluti”».
Visto che ha citato Imma Tataranni, vorrei togliermi una curiosità ma nella puntata in cui si parla di Isabella Morra, c’è stato il suo zampino?
«L’hanno pensato in molti ma onestamente non è merito mio (sorride, ndr)».
Ritorniamo al discorso che stavamo facendo, mi sembra di capire che non crede di aver privato i suoi figli di maggiori opportunità, giusto?
«Esatto, io penso che se esistono contesti ed animatori culturali, i ragazzi sono sempre in connessione con il mondo che non è circoscritto in un’area geografica precisa. Le dirò di più, ho deciso di proporre un mio spettacolo “Versi e ballate senza tempo” che è un omaggio ai poeti lucani sia per la modernità delle parole ma soprattutto per il vanto di far conoscere poeti come Leonardo Sinisgalli, Rocco Scotellaro, Albino Pierro e Isabella Morra che devono essere conosciuti al pari di altri come Carducci, Pascoli, Leopardi perché è scattata dentro di me una molla. Questo sussulto è partito da una frase di Mario Trufelli che nella sua poesia “Lucania” dice “da noi il mondo è lontano”. Io vorrei umilmente provare a ribaltare questa condizione e fare in modo che il mondo non sia più così lontano da noi. E’ un concetto forte che è diventato un mio impegno al punto tale che lo ripeto spesso agli iscritti al mio corso di recitazione che ho da poco avviato sia a Valsinni che a Policoro, perché credo che possa rappresentare un incentivo alla consapevolezza e al riscatto. In sintesi, si deve avere la possibilità di poter vivere esperienze importanti anche nei nostri piccoli centri proprio come si ha la possibilità di fare in città come Roma, Milano o Napoli. Io ho la possibilità perché ho scelto di vivere qui e di vivere la mia vita con questo equilibrio: vita e lavoro e non il contrario (amplifica il gesto roteando le mani). Metto umilmente a disposizione quello che ho imparato perché qualcun altro possa usufruire di ciò che io non ho avuto. Non mi posso sottrarre da questo richiamo, non ce la faccio. Dobbiamo educare le nuove generazioni alla bellezza ma soprattutto alla competenza e i nostri luoghi sono ancora uno scrigno nel quale si può imparare la vita e da cui, una volta pronti, uscire, se necessario, e fare in modo che gli altri capiscano il valore di quella vita. Del resto tanti sono i lucani ai vertici in Italia e nel mondo e non lo sappiamo. Noi siamo così tanti ma non lo sappiamo perché per citare una frase del poeta lucano Sinisgalli, “ci sono tanti lucani in giro per il mondo ma nessuno li conosce, nessuno li vede, perché non sono esibizionisti”. La nostra generazione deve essere traghettatrice di una nuova visione: il passaggio dal pensare al posto fisso come unica soluzione di vita, al modello “imprenditore di sé stesso”. Io voglio sperare che questo pensare possa avvenire negli anni e cambiare totalmente la nostra realtà di uomini e di professionisti . Del resto, il mio mestiere lo insegna, sognare non costa nulla, un attore ed un artista vivono anche di sogni e quindi voglio sperare che tutto ciò possa realizzarsi. E qualcosa in tal senso comincia già a muoversi quando noto nelle generazioni attuali, come quella di mia figlia, che pensare di vivere nei nostri piccoli centri possa essere una “nuova” opportunità».
Possiamo dire che non si è pentito di aver scelto di restare e che, anzi, il legame con Valsinni sia ancora più forte?
«Alla fine non l’ho deciso io di restare qui perché se è destino realizzare qualcosa, il più delle volte, accade. Mi sono sempre detto: voglio che la vita mi dica cosa devo fare! Devo essere bravo a codificare il messaggio che la vita mi suggerisce quindi se c’è un problema, lo risolvo. Non si muove niente, si muoverà e puntualmente, per quanto mi riguarda, funziona così. Se tutto si incastra alla perfezione perché dovrei affannarmi e perché dovrei giudicare la qualità della mia vita dal luogo in cui la vivo? Sono io che vivo il luogo e sono io che do vita al luogo, decido io come partecipare. Una delle mie missioni nel divulgare la cultura lucana attraverso il mio mestiere è far conoscere sempre di più il nome di Isabella Morra oltre i confini regionali. È una promessa fatta in passato, suggellata nel momento in cui ho avuto il privilegio di recitare nel primo film a lei dedicato che ha rappresentato la chiusura di un cerchio».
A proposito di cerchi che si chiudono, abbiamo saputo che il 28 settembre è stato insignito del prestigioso Premio Unpli Basilicata, tra i più longevi e autorevoli a livello nazionale e regionale. Questo riconoscimento viene assegnato dal 1988 alle eccellenze lucane che danno lustro alla nostra regione. Qual è stata la sua reazione quando le hanno comunicato l’assegnazione di questo premio? Se lo aspettava?
«Sono rimasto sorpreso e al tempo stesso felice e gratificato. Data l’importanza del premio Unpli e data anche e soprattutto la magia creatasi nell’occasione perché ho ricevuto questo riconoscimento a 51 anni, in coincidenza con i 51 anni di nascita della Pro Loco di Valsinni il cui fondatore è stato mio padre. La Pro Loco di Valsinni come associazione è stata da sempre la realtà nella quale mi sono formato, scoprendomi attore, ed oggi ricevo il premio conferitomi all’unanimità dall’unione delle Pro Loco lucane. Mi dica lei se questa non è una meravigliosa magia!».
Quali saranno i suoi prossimi impegni professionali?
«In primis impegni teatrali perché ripartiremo insieme alla compagnia “Opera” con la tournée de “Il turno di notte” per la regia di Gianpiero Francese, con un cast interamente lucano: Dino Paradiso, Giuseppe Ranoia, Peppe Centola, Gabriele Grano, Manola Rotunno e, la lucana d’adozione, Simona Ianigro. Ripartiremo a fine ottobre da Venosa per toccare successivamente città come Salerno, Roma, Milano, Modena, Venezia e tante altre ancora, per terminare, momentaneamente, a febbraio 2026.
Inoltre ho girato tra ottobre e febbraio scorsi un film per la televisione dal titolo “Poveri noi” per la regia di Fabrizio Maria Cortese con Ricky Memphis, Paolo Ruffini e Ilaria Spada, e una fiction con Serena Autieri e Fortunato Cerlino che andranno in onda entrambi, prossimamente, sui canali Rai. Poi ancora tanti progetti culturali di cui uno nell’immediato, a Milano, organizzato dall’associazione “Amici della Basilicata in Lombardia” che vedrà Isabella Morra protagonista presso il teatro “Tertulliano”, in data 19 ottobre».
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