IL MATTINO
Cultura
11.09.2025 - 15:05
Stefano Benni e Goffredo Fofi di certo avranno da discutere, dove si trovano, adesso, in viaggio insieme. Un viaggio il loro fatto in differita. Fofi è partito prima e Benni lo ha raggiunto, così da potere continuare a ragionare di ciò che hanno testimoniato, qui, in mezzo a noi, ma che all'altro mondo, e con una visione ancora più ampia, assumerà di certo una maggiore chiarezza e anche un po' di leggerezza (si spera).
Noi per seguirne ancora una volta le traiettorie abbiamo i loro libri, come questo, a due voci.
Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione con Goffredo Fofi di Stefano Benni
Il titolo di questo libro del '99, edito da Minimum Fax, è già un'epigrafe, perché racchiude il senso dello stare al mondo di entrambi. Il Il libro si sviluppa come un’ampia intervista, durante la quale Stefano Benni dialoga con Goffredo Fofi, per meglio riflettere sugli aspetti cruciali della sua esperienza di vita quali: la scrittura, la politica e la comunicazione di massa, con una particolare attenzione alla TV, la storia della politica in Italia e della sua incapacità di stare al passo con i tempi.
Già così il libro assume, per certi versi, il ruolo di testamento laico.
Stefano Benni e la scrittura
Stefano Benni racconta di avere avvertito il richiamo della scrittura fin dalle prime letture, ma di essersi sentito realmente scrittore, soltanto dopo la pubblicazione del suo quarto romanzo: "Comici spaventati guerrieri".
Durante l’adolescenza grazie ad Edgar Allan Poe aveva capito quanto fosse complesso il mondo dell’immaginazione. A lui si affiancano la lettura di autori come Mark Twain, Jorge Borges, Arthur Rimbaud, Raymond Queneau, Samuel Beckett e Stanley Kubrick, che gli offrono lezioni diverse sulla narrazione, la forma e la visione poetica.
Benni afferma di non essere nato con un dono naturale per lo stile, che ha imparato progressivamente a padroneggiare, tanto da approdare a «una scrittura molto complessa che chiamo orchestrale», tale da dargli l'impressione, scrivendo, di suonare cinquanta strumenti differenti.
Oltre a ciò dichiara come la scrittura sia per lui frutto di revisione continua.
In un'intervista del 2017, racconta che una figura cruciale per lui è stata Grazia Cherchi. Lo spinse a riscrivere fino a cinquanta volte la stessa pagina, aiutandolo a tirare fuori risorse nascoste.
«[...] ho imparato che non è mai finita [...] Il giorno in cui dirò di aver scritto il capolavoro sarà un giorno terribile; probabilmente lo dirò e non avrò scritto il capolavoro. È una continua ricerca, una continua insoddisfazione.Tuttavia, continuo a provarci: credo sia questa la passione dello scrivere.»
Per Benni è impossibile scrivere senza leggere. Entrambe le attività sono legate in maniera talmente prepotente che, se fosse costretto a scegliere tra leggere o scrivere, la risposta istintiva (e ironica) sarebbe fuggire. A tal proposito ha dichiarato di non seguire un rituale fisso o un luogo ideale, e di potere scrivere dappertutto: gli basta avere carta e penna o un computer.
Una volta pubblicato un testo, Benni prova spesso una repulsione iniziale. La rilettura lo rende scontento, motivo per cui prosegue con nuove storie, lasciando un libro "dormiente", prima di tornarci con occhi mutati e distanti.
La sua cifra stilistica è la sorpresa, per tenere il lettore incollato alla pagina.
In passato l’umorismo è stato la sua chiave per comunicare. Col tempo è arrivato alla conclusione che l'umorismo possa diventare "volgare, ruffiano, di regime" se usato senza controllo.
Stefano Benni e i Media
Particolarmente pungente è il suo ragionamento sul ruolo dei media, in particolare della televisione. Ne denuncia gli effetti di "istupidimento", ma non si limita a criticare. Propone un possibile utilizzo “pedagogico” del mezzo televisivo, affinché sia capace di educare piuttosto che di anestetizzare.
Salvo poi affermare: «Non ho neppure grandi rimpianti. Se non, quando è cominciata la tv privata, di non aver capito […] che sarebbe stata un’arma così potente e di averla liquidata. Oggi purtroppo lo scenario si è chiuso, il pensiero unico televisivo è cosa fatta»
Stefano Benni e la Politica
Per quanto riguarda la politica Benni offre una narrazione personale e critica delle vicissitudini esplorando le «miserie e le ragioni dei corridoi e delle basi progressive.»
E Goffredo Fofi gli dice «non ti sei mai negato alla politica ma nello stesso tempo non ti sei mai fatto castrare dalla politica» . In sostanza, ha sempre avuto posizioni politiche ma si è tenuto distante dalle strutture partitiche. Riassumendo saggiamente il suo credo: «Se non vedo intorno a me politica degna di questo nome, la politica me la faccio da me» .
Questa affermazione si collega a un concetto chiave nel libro e cioè a quello della politica "dal basso", fatta di cura, di azione, di connessione reale con le persone, non di mera ideologia o di slogan vuoti.
Benni chiarisce che la sua è una politica attiva, incarnata nelle azioni quotidiane:
«Le attività con gli immigrati di Harambe, il gruppo Lupo, i seminari per chi lavora con i bambini o nelle carceri, i seminari per giovani attori. Questo è l’agire politico, cosa molto diversa dal sondaggismo e dal gigantesco chiacchiericcio mediatico.»
Questa visione del "fare politico" mantiene una forte tensione etica perché non basta proclamare ideali, bisogna agire con determinazione e umanità, lontano dai riflettori.
Il suo atteggiamento anarcocomunista “usaista” è descritto in termini concreti: «Non bisogna dire cose di sinistra, bisogna farle»
Il libro/ l'intervista offre una panoramica articolata che parte dalla scrittura e approda alla responsabilità culturale.
Una riflessione attenta e ironica sul ruolo dello scrittore, del lettore e della televisione nella società contemporanea.
La notizia della morte dello scrittore è stata data dal figlio, attraverso la pagina Facebook dell'autore, che invitava i lettori a ricordarlo leggendo ad alta voce le sue opere.
Fatto!
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