IL MATTINO
Matera piange il parroco antiusura
30.08.2025 - 12:49
Matera piange padre Basilio Gavazzeni, missionario monfortano, voce schietta e coraggiosa, morto a 80 anni. La notizia è stata diffusa dalla Diocesi di Matera-Irsina, che ha ricordato la sua vita spesa in difesa degli ultimi, contro l’usura e contro il gioco d’azzardo, senza mai piegarsi alle minacce. Nato a Verdello, in provincia di Bergamo, il 7 luglio 1945, ordinato sacerdote nel 1971, padre Basilio aveva scelto Matera. Qui, per decenni, ha guidato la comunità di Sant’Agnese, poi la parrocchia del Santissimo Crocifisso, fino al 30 settembre 2020. Negli ultimi anni era presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Lucana Antiusura “Mons. Vincenzo Cavalla”, da lui fortemente voluta e difesa.
Non era un sacerdote di sacrestia. Basilio Gavazzeni ha attraversato la vita con passo deciso, spesso solitario, sempre in prima linea. La sua parola diretta, a volte dura, era il contrario dell’ambiguità. Parlava chiaro, denunciava i drammi dell’usura e le dipendenze che distruggevano famiglie, denunciava i meccanismi perversi del gioco d’azzardo. E per questo non esitava a esporsi, anche quando significava ricevere avvertimenti e minacce. Lo aveva imparato a sue spese: la notte del 7 maggio 1994 un ordigno esplose davanti alla porta della chiesa di Sant’Agnese, di cui era parroco. Una bomba costruita con polvere da mina, piazzata come un messaggio mafioso, squarciò l’ingresso e seminò il panico nel rione Agna. La chiesa fu danneggiata, i residenti scesero in strada spaventati, il quartiere restò sotto shock. Lui, però, non arretrò di un passo: dichiarò pubblicamente che avrebbe riaperto la chiesa il giorno dopo, e ribadì il suo impegno contro gli usurai. Il vescovo gli espresse piena solidarietà, ma fu chiaro che la battaglia di padre Basilio non sarebbe stata senza conseguenze.
Non si limitava alle parole. Nel 1995, per finanziare la neonata Fondazione Antiusura, prese una decisione che racconta più di mille discorsi: vendette il calice d’oro che la madre gli aveva regalato per i 25 anni di sacerdozio. Lo cedette per 10 milioni di lire a un parroco bergamasco. Con lui mise all’asta anche la patena d’oro, altro dono materno. Due oggetti preziosi, carichi di affetto, che lui trasformò in risorsa per chi viveva l’inferno dei debiti. «Mi sono spogliato – disse – ma così posso dare un contributo a chi rischia di perdere tutto».
Non era la prima volta. Sempre nel 1995 mise all’asta altri beni: arredi della casa parrocchiale, oggetti d’arte, reperti storici, persino una statua in legno del Settecento e una scultura del brigante realizzata da un artista materano. «Ho spogliato un po’ la mia casa – spiegò – ma voglio dare forza alla cultura antidebito, l’arma migliore contro l’usura».
Gli avvertimenti non mancavano. Croci di legno lasciate davanti alla porta, messaggi sinistri, intimidazioni di ogni genere. Ma lui andava avanti, schietto, a volte spigoloso, sempre fedele alla sua missione: difendere i più fragili, restituire dignità a chi era schiacciato dai debiti.
Un impegno che gli valse la stima di tanti, anche fuori dalla Chiesa. Per la città di Matera era diventato un punto di riferimento. Lo conoscevano tutti: chi aveva bussato alla sua porta trovava ascolto, anche quando non c’erano risorse materiali da offrire. La sua arma era la credibilità, costruita giorno dopo giorno con gesti concreti.
Oggi la diocesi ricorda un uomo «dal carattere schietto e diretto, capace di unire rigore e profonda umanità, che ha lasciato un segno indelebile nella comunità ecclesiale e civile». La comunità di Sant’Agnese, che lo ha avuto come pastore per decenni, si prepara ad accoglierlo per l’ultima volta: i funerali saranno celebrati lunedì 1 settembre nella sua parrocchia, la stessa che vide le bombe, le minacce, le veglie, ma anche le preghiere più intense.
Padre Basilio Gavazzeni non era un prete comodo. La sua voce graffiava, disturbava chi preferiva il silenzio. Per questo era scomodo. Ma proprio per questo resterà nella memoria della città. Ha lasciato un’eredità fatta di coraggio, gesti concreti e battaglie vissute senza retorica.
La sua morte segna la fine di una stagione, ma non cancella le sue cicatrici e le sue vittorie. Chi lo ha conosciuto sa che non si limitava a predicare, ma viveva ciò che annunciava. E che per lui la fede non era una formula, ma una scelta quotidiana.
A Matera, lunedì, quando la bara varcherà per l’ultima volta il portone di Sant’Agnese, si sentirà l’eco di quella notte del 7 maggio 1994, quando una bomba cercò di farlo tacere. Ma lui non tacque mai. E oggi la sua voce resta, più forte della paura.
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