Cerca

Il paese che non deve morire/Sesta puntata

Adottiamo San Paolo Albanese, il paese più piccolo della Basilicata: nelle «gjitonie» arbëreshë il vicinato è urbanistica e sopravvivenza

Il paesaggio non è sfondo, ma compagno silenzioso che custodisce e isola una comunità che resiste

Adottiamo San Paolo Albanese, il paese più piccolo della Basilicata

Il Mattino di Puglia e Basilicata ha deciso di adottare San Paolo Albanese perché questo borgo di appena 204 anime è un simbolo. È l’ultima frontiera di un’Italia che rischia di sparire senza che nessuno se ne accorga. La frase contenuta nel Piano nazionale delle aree interne – quella che parla di «declino irreversibile» e di una «chiusura dignitosa» – è stata come un colpo di pistola nel silenzio della Val Sarmento. Che suona come resa dello Stato. E non si può accettare. Adottare San Paolo Albanese significa schierarsi dalla parte di chi resiste. È un modo per dire che un giornale non deve soltanto registrare il declino, ma può e deve diventare un alleato di una comunità dimenticata. San Paolo è il comune più piccolo della regione, ma dentro di sé custodisce un patrimonio immenso: la lingua arbëreshë che ancora si parla in casa, il rito greco-bizantino celebrato in chiesa, i costumi tradizionali tramandati dalle donne, le feste popolari che ogni anno riportano emigranti e viaggiatori. Qui non c’è folklore da cartolina, c’è identità. Un giornale che nasce e vive tra Puglia e Basilicata non può permettere che il paese più fragile venga accompagnato al cimitero delle statistiche. Per questo il Mattino di Puglia e Basilicata ha scelto di adottarlo. Non con sterile retorica, ma con una campagna quotidiana che racconterà il borgo per quello che è: un laboratorio di resistenza, un avamposto culturale, un pezzo d’Italia che merita di essere conosciuto. Lo facciamo perché crediamo che raccontare equivale a proteggere. Perché dare voce a San Paolo Albanese significa restituirgli dignità, farlo uscire dall’invisibilità, far capire al Paese intero che se cade lui, cade un intero modello di convivenza. Adottarlo, per noi, significa affiancare i cittadini nella loro battaglia. Sesta puntata.

San Paolo Albanese non è un borgo come gli altri. È un nodo di pietra piantato sulle pendici del Monte Carnara, circondato dai boschi del Pollino e dalla valle del Sarmento, un luogo dove l’urbanistica non è un vezzo estetico, ma la forma stessa della sopravvivenza. Qui il modello della «gjitonia», termine che in greco significa «vicinato», gruppi di case addossate l’una all’altra, che si aprono su piccoli spazi comuni, micro-piazze scolpite dal tempo dove la socialità non era un concetto astratto ma un fatto quotidiano. Scale ripide che si arrampicano come nervature, archi e vicoli che incastrano il paese come un mosaico. Ogni pietra dice di un’esigenza concreta: proteggersi, stare vicini, sopravvivere insieme. L’urbanistica di San Paolo Albanese è la radiografia di una comunità ridotta a un centinaio di famiglie, ma testarda. Non ci sono quartieri residenziali, né piazze monumentali da vetrina: c’è l’essenziale, stratificato nei secoli. Le case contadine conservano ancora gli infissi di un tempo e i camini anneriti, i pochi palazzi gentilizi resistono come memoria di una borghesia che non esiste più. Non è un centro storico pensato per i turisti, ma un tessuto urbano nato per difendere un’identità. Se ci si allontana dal dedalo di vicoli, il paesaggio non è cornice ma compagno di viaggio. I boschi, le creste, i pendii del Pollino stringono il borgo in un abbraccio che è insieme protezione e isolamento. Dall'alto lo sguardo corre fino a valle. È un urbanesimo piccolo, fragile, che si regge su equilibri sottili: una frana, una strada che cede e tutto rischia di sgretolarsi. San Paolo Albanese vive dentro un paesaggio che ti mette davanti alla verità: chi resta deve convivere con la bellezza e con la fatica, con il silenzio e con la vastità. Non ci sono compromessi, non ci sono scorciatoie. La sua urbanistica non è materia da manuali di architettura, è pelle identitaria: le scale non sono scale, sono soglie di comunità; i muri in pietra non sono ornamento, sono genealogia; il bosco che sfiora le case non è un fondale, è alleato. E allora capisci che raccontare San Paolo Albanese significa leggere un organismo vivo, non un reperto. Un paese piccolo, quasi invisibile nelle statistiche, che resiste perché la sua urbanistica e il suo paesaggio non sono due mondi separati, ma lo stesso respiro. È un borgo che ti mette davanti a una scelta: considerarlo un museo all’aperto in via di estinzione o riconoscerlo come una delle ultime lezioni di come l’uomo e la natura, la pietra e la memoria possano ancora convivere senza annientarsi a vicenda.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione