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Università, Basilicata maglia nera d’Italia: l'esodo dei cervelli e un territorio in affanno

Tra i tanti flussi migratori che attraversano l’Italia ce n’è uno meno raccontato ma sempre più rilevante: quello degli studenti universitari. Se è vero che da decenni il Sud “emigra” verso il Centro-Nord per motivi di lavoro, lo stesso fenomeno si ripete, puntuale, anche dopo il diploma. Ma con una portata che riguarda tutto il Paese

Università, Basilicata maglia nera d’Italia: l'esodo dei cervelli e un territorio in affanno

Secondo una mappatura del portale Skuola.net basata sugli open data del Mur, nell’anno accademico 2023/24 sono stati 401.720 gli iscritti a un ateneo diverso da quello della propria regione di residenza, compresi 57.490 studenti stranieri. In altre parole, quasi un universitario su quattro (24%) è fuorisede. Un dato che fotografa una mobilità imponente, resa quasi obbligata dalla scarsa possibilità di seguire corsi a distanza: finita la pandemia, la Dad è stata infatti chiusa per mantenere la distinzione tra università tradizionali e telematiche. A guidare la classifica delle regioni che perdono più studenti non è il Mezzogiorno “classico”, ma le realtà più piccole dal punto di vista geografico e demografico. La Basilicata detiene il primato con un impressionante 73% di ragazzi che lasciano la propria terra per studiare altrove. Subito dietro la Valle d’Aosta con il 70%. Eppure specialmente la Basilicata può contare su un Ateneo di qualità, ma evidentemente su un appeal non eccezionale al punto da non trattenere una corposa fetta di giovani. Segno che eventi spot ed iniziative estemporanee non possono trainare un comparto. Percentuali altissime anche in Molise (56%), nelle province autonome di Trento (50%) e Bolzano (45%), senza dimenticare Abruzzo (39%), Calabria (37%) e Puglia (34%). Quest’ultima, in particolare, registra anche il record assoluto: oltre 41mila partenze in un solo anno accademico. Numeri che danno l’idea di quanto i ragazzi meridionali percepiscano la necessità di spostarsi. Sorprende anche il dato del Veneto, seconda regione per numero assoluto di studenti in fuga: più di 34mila, pari al 29% degli iscritti. A conferma che il fenomeno non riguarda solo il Sud ma anche ampie aree del Nord Italia. Sul podio delle partenze c’è la Sicilia, con oltre 32mila universitari (24% del totale) che hanno scelto di trasferirsi sul “continente”. Per migliaia di famiglie siciliane, l’università significa inevitabilmente mettere in conto spese aggiuntive e la lontananza dai figli, spesso per anni. All’estremo opposto, ci sono regioni che riescono a trattenere la grande maggioranza dei propri iscritti. Il Lazio è il caso più virtuoso: su 181.585 universitari, solo 16.591 (9%) hanno deciso di andare a studiare altrove. Roma resta un polo attrattivo non solo per i laziali, ma anche per chi proviene da altre regioni. Risultati positivi anche in Lombardia (14% di fuorisede) e Toscana (15%), con performance simili a quelle di Emilia Romagna, Sardegna, Campania e Piemonte (16%). La mappa delle partenze racconta di un’Italia spaccata, dove alcune regioni diventano poli di attrazione e altre serbatoi di giovani costretti a spostarsi, con tutto ciò che comporta in termini economici, sociali e di prospettive future. Per molti ragazzi, il prezzo da pagare per una laurea è quello di lasciare la propria terra. E questo solleva una questione cruciale: la mobilità studentesca può essere una ricchezza, ma quando diventa fuga forzata segnala un fallimento del sistema universitario e territoriale. Non è solo un problema di qualità dei corsi, ma anche di servizi collegati: residenze universitarie, trasporti, borse di studio. Chi parte spesso deve affrontare costi insostenibili che gravano sulle famiglie, con il rischio che a studiare siano solo i più abbienti. Se il nostro Paese vuole davvero ridurre i divari territoriali, non può ignorare il tema. Perché la scelta dell’università non dovrebbe essere determinata dal codice postale di nascita, ma dal talento e dalle aspirazioni di ciascun giovane.

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