IL MATTINO
Il paese che non deve morire/Quinta puntata
29.08.2025 - 12:24
Il Mattino di Puglia e Basilicata ha deciso di adottare San Paolo Albanese perché questo borgo di appena 204 anime è un simbolo. È l’ultima frontiera di un’Italia che rischia di sparire senza che nessuno se ne accorga. La frase contenuta nel Piano nazionale delle aree interne – quella che parla di «declino irreversibile» e di una «chiusura dignitosa» – è stata come un colpo di pistola nel silenzio della Val Sarmento. Che suona come resa dello Stato. E non si può accettare. Adottare San Paolo Albanese significa schierarsi dalla parte di chi resiste. È un modo per dire che un giornale non deve soltanto registrare il declino, ma può e deve diventare un alleato di una comunità dimenticata. San Paolo è il comune più piccolo della regione, ma dentro di sé custodisce un patrimonio immenso: la lingua arbëreshë che ancora si parla in casa, il rito greco-bizantino celebrato in chiesa, i costumi tradizionali tramandati dalle donne, le feste popolari che ogni anno riportano emigranti e viaggiatori. Qui non c’è folklore da cartolina, c’è identità. Un giornale che nasce e vive tra Puglia e Basilicata non può permettere che il paese più fragile venga accompagnato al cimitero delle statistiche. Per questo il Mattino di Puglia e Basilicata ha scelto di adottarlo. Non con sterile retorica, ma con una campagna quotidiana che racconterà il borgo per quello che è: un laboratorio di resistenza, un avamposto culturale, un pezzo d’Italia che merita di essere conosciuto. Lo facciamo perché crediamo che raccontare equivale a proteggere. Perché dare voce a San Paolo Albanese significa restituirgli dignità, farlo uscire dall’invisibilità, far capire al Paese intero che se cade lui, cade un intero modello di convivenza. Adottarlo, per noi, significa affiancare i cittadini nella loro battaglia. Quinta puntata.
A San Paolo Albanese i numeri dell’Istat non sono cifre astratte. Nel 2023 gli abitanti erano appena 215, al 31 maggio 2025 addirittura 204. Nel 2001 erano 414, nel 1991 529. Oggi la densità demografica è di sette abitanti per chilometro quadrato, un valore da zona spopolata. Colpisce la struttura della popolazione: gli over 75 rappresentano il 25,8 per cento dei residenti, mentre i bambini sotto i sei anni sono appena il 2,3 per cento. L’indice di vecchiaia è 520,8, cioè per ogni ragazzo under 14 ci sono più di cinque anziani sopra i 65. In Italia la media è 148, in Basilicata 154. Il dramma si legge nelle scuole. Secondo l’Istat nel 2023 i ragazzi in età scolastica erano appena otto: un bambino tra i tre e i cinque anni, quattro tra i sei e gli otto, uno di dieci, uno di 14 e un ragazzo di 16. Non basterebbero a riempire una sola classe. Per questo la scuola da tempo ha chiuso i battenti. La fotografia dell’istruzione è un mosaico di contraddizioni. Solo il 5,3 per cento dei residenti ha una laurea, contro l’11,5 per cento della media italiana. Eppure il tasso di abbandono precoce è più basso: il 10 per cento, meno della media regionale (14) e nazionale (15,5). Ma resiste un dato arcaico: il 6,4 per cento della popolazione è ancora analfabeta, molto più del 2,7 lucano e dell’1,1 italiano. Sono soprattutto anziani, figli di un tempo in cui si lasciava la scuola per i campi. Il bilancio demografico del 2023 è il paradigma del declino: zero nati, tre morti, saldo naturale meno tre. Tredici iscritti in anagrafe e cinque cancellati: saldo migratorio più otto, saldo totale più cinque. Il paese si mantiene solo grazie a chi si trasferisce lì, non a chi nasce. Gli unici arrivi sono stati di adulti o pensionati di ritorno. Nessun vagito nelle case. Eppure, nonostante il gelo delle statistiche, San Paolo non è un paese morto. È una comunità che resiste con le armi che ha: la coesione sociale. I pochi bambini non sono mai soli. A controllarli non ci sono solo i genitori, ma l’intero paese: i nonni, i vicini, gli amici, i conoscenti. Gli anziani, che altrove spesso rappresentano un peso, qui sono custodi. Accompagnano i nipoti allo scuolabus, sorvegliano i cortili, tramandano la lingua arbëreshe e i riti bizantini. È un capitale umano che tiene insieme il paese e che sostituisce i servizi mancanti. Accanto alla comunità c’è un presidio che fa la differenza: il Museo della Cultura Arbëreshe, fondato nel 1976 e riconosciuto ufficialmente nel 1984. Non è una semplice esposizione di costumi e oggetti etnografici, ma un avamposto identitario. Il museo non è solo passato, è speranza. È il luogo che attira ricercatori, studenti, turisti. È la prova che San Paolo Albanese non è soltanto un dato Istat, ma una capitale culturale che custodisce un patrimonio immateriale. È la bandiera che tiene vivo il paese. Nel 2021 San Paolo Albanese ha avuto la spesa culturale pro capite più alta di tutta la Basilicata: oltre 500 euro per abitante. È il simbolo di due Italie: quella dei numeri Istat, che segnano il conto alla rovescia, e quella della comunità viva, che resiste.
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