IL MATTINO
Il paese che non deve morire/Terza puntata
27.08.2025 - 11:49
Il Mattino di Puglia e Basilicata ha deciso di adottare San Paolo Albanese perché questo borgo di appena 204 anime è un simbolo. È l’ultima frontiera di un’Italia che rischia di sparire senza che nessuno se ne accorga. La frase contenuta nel Piano nazionale delle aree interne – quella che parla di «declino irreversibile» e di una «chiusura dignitosa» – è stata come un colpo di pistola nel silenzio della Val Sarmento. Che suona come resa dello Stato. E non si può accettare. Adottare San Paolo Albanese significa schierarsi dalla parte di chi resiste. È un modo per dire che un giornale non deve soltanto registrare il declino, ma può e deve diventare un alleato di una comunità dimenticata. San Paolo è il comune più piccolo della regione, ma dentro di sé custodisce un patrimonio immenso: la lingua arbëreshë che ancora si parla in casa, il rito greco-bizantino celebrato in chiesa, i costumi tradizionali tramandati dalle donne, le feste popolari che ogni anno riportano emigranti e viaggiatori. Qui non c’è folklore da cartolina, c’è identità. Un giornale che nasce e vive tra Puglia e Basilicata non può permettere che il paese più fragile venga accompagnato al cimitero delle statistiche. Per questo il Mattino di Puglia e Basilicata ha scelto di adottarlo. Non con sterile retorica, ma con una campagna quotidiana che racconterà il borgo per quello che è: un laboratorio di resistenza, un avamposto culturale, un pezzo d’Italia che merita di essere conosciuto. Lo facciamo perché crediamo che raccontare equivale a proteggere. Perché dare voce a San Paolo Albanese significa restituirgli dignità, farlo uscire dall’invisibilità, far capire al Paese intero che se cade lui, cade un intero modello di convivenza. Adottarlo, per noi, significa affiancare i cittadini nella loro battaglia. Oggi la terza puntata.
San Paolo Albanese è un punto che quasi non si vede sulla carta. Un minuscolo puntino incastrato nella dorsale lucana del Pollino, a 954 metri d’altezza, che il vento sembra voler spazzare via a ogni folata. Da quassù la Basilicata sembra infinita, e la distanza tra la vita quotidiana e il resto del mondo si misura in chilometri, curve e tempo. Qui non passa di sfuggita chi è diretto altrove: bisogna volerci venire, affrontare le strade che salgono e si piegano come serpi, fino ad arrivare al cuore di una comunità che oggi conta poco più di duecento anime. Senise, meno di 15 chilometri più in là, ai cittadini di San Paolo sembra una metropoli. Là c’è il mercato, ci sono negozi, banche. Per chi vive a San Paolo, Senise è un approdo sicuro, il posto dove ci si sente già cittadini. Potenza, il capoluogo, dista oltre due ore di auto: troppo lontana per pensare a un viaggio leggero. Più di 120 chilometri, tra tornanti e montagne, non sono come in pianura: diventano un pellegrinaggio verso uffici e ospedali, verso quel mondo che sembra sempre più distante. Oggi restano un risto-bar e un bar-tabacchi, le Poste che funzionano a singhiozzo e il municipio che sembra tenere insieme tutto quanto resta. La gente racconta che a fine Ottocento erano 1.600. Poi la curva ha cominciato a scendere: 700 a metà Novecento, 422 nel 1999, quando Maddalena, Gianluca e Raffaele furono gli ultimi tre nati di un anno che sembrò prolifico. Oggi gli abitanti sono 204. Il paese si svuota e invecchia, il saldo naturale è una lenta emorragia: 13 funerali in un anno, a fronte di due o tre bambini che nascono. La sindaca di allora, Giuseppina Puzzi, parlava di futuro nel Museo della cultura arbëreshe, aperto per custodire memoria e identità. Diceva che lì era la chiave: «Il turismo legato al Pollino e al Museo». Ma i turisti passano per un giorno, guardano, fotografano, comprano un caffè e ripartono. Restano i residenti, che devono fare i conti con la distanza da tutto: con la necessità di prendere la macchina per un mal di denti, con l’ansia di non arrivare in tempo in ospedale per un infarto. A San Paolo Albanese si parla ancora arbëreshë, si celebrano riti bizantini nella chiesa di San Rocco. La tradizione resiste come un fuoco che non vuole spegnersi. Ma non basta. I matrimoni sono rari, le nuove famiglie ancora di più. Eppure, quando chiedi ai pochi giovani che restano, ti dicono che qui ci si sente a casa. Che il futuro, se ci sarà, dovrà pur partire da questi monti. La strada che scende verso Senise diventa allora una metafora. Porta al presente, ai servizi, alle cose necessarie. Ma quella che sale al Pollino porta al passato, alla radice di una comunità che resiste da cinque secoli. La domanda è se ci sarà un futuro, e di chi sarà: dei figli che nasceranno qui o dei figli che nasceranno altrove e torneranno solo d’estate a rivedere le case dei nonni. San Paolo Albanese è il più piccolo comune della Basilicata. Ma forse è anche il più simbolico: un borgo che si aggrappa alla montagna come un nido, e che ogni anno perde un pezzo di sé. È lontano da tutto, ma proprio per questo racconta meglio di altri la distanza tra l’Italia dei centri urbani e quella dei margini. Quella che sopravvive con poco, che resiste con dignità, che chiede solo di non essere dimenticata.
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