IL MATTINO
Sociale
22.08.2025 - 19:16
SENISE- Non è più tempo di domande rassicuranti. “Esiste la mafia in Basilicata?” è un interrogativo che per anni ha accompagnato dibattiti e studi, con la sottintesa certezza che la regione restasse immune. Oggi, le relazioni della Direzione Investigativa Antimafia e le inchieste giudiziarie indicano con chiarezza che le infiltrazioni criminali hanno attecchito. I focolai principali sono tre: il Vulture-Melfese, con i suoi snodi logistici e industriali; il Metapontino, crocevia agricolo e commerciale; il Lagonegrese, corridoio strategico verso la Calabria e la Campania.È da questa consapevolezza che ha preso le mosse il convegno “Il coraggio della memoria”, svoltosi il 20 agosto, con la partecipazione di Giovanni Impastato e del giornalista Paolo Borrometi. Due voci diverse, unite da un filo comune: la memoria come strumento di resistenza e la necessità di guardare alla mafia non come fenomeno circoscritto, ma come parte di un sistema politico ed economico che attraversa l’intero Paese.Impastato, collegato da remoto per la scomparsa di Salvo Vitale, ha ricordato che «la mafia non è più un fenomeno regionale, ma nazionale, anzi globale». Il fratello di Peppino ha ripercorso la centralità della memoria non come celebrazione rituale ma come scelta quotidiana, capace di smontare stereotipi e ricostruire coscienza civile. «La mafia si sconfigge con la cultura, non con la pistola» ha sottolineato, richiamando l’esperienza di Casa Memoria a Cinisi e salutando il progetto di intitolare a Peppino Impastato una strada a Vietri di Potenza.Se la memoria è il terreno da cui ripartire, l’inchiesta giornalistica è lo strumento che ne prolunga l’efficacia. Lo ha ribadito Borrometi, presidente di Articolo 21 e voce scomoda per le sue inchieste: «L’Italia non è il Paese dei misteri, ma dei segreti. Mistero è ciò che non si conosce, segreto è ciò che si sa e non si vuole rivelare». Una distinzione che attraversa la storia repubblicana: dalla strage di Portella della Ginestra, ancora oggi coperta da segreto di Stato, all’omicidio di Piersanti Mattarella, fino alla recente conferma in Cassazione delle responsabilità per la strage di Bologna.Borrometi ha ricordato come già Peppino Impastato avesse colto l’intreccio fra mafia, politica e imprenditoria. Non a caso, oltre all’eliminazione fisica, subì il tentativo di delegittimazione e depistaggio, orchestrato dagli stessi apparati che, anni dopo, avrebbero alimentato la trattativa Stato–mafia. Il giornalista ha inoltre richiamato episodi come la strage di Alcamo Marina (1976) e le connessioni con la rete clandestina Gladio, esempi di una stagione in cui l’Italia, baricentro geopolitico della Guerra fredda, vide le organizzazioni criminali farsi ingranaggi di un disegno più ampio di controllo politico e militare.La fine del bipolarismo non ha cancellato quelle dinamiche, ma ne ha trasformato gli equilibri. Tangentopoli, ha osservato Borrometi, fu «un blef»: non perché la corruzione non esistesse, ma perché un’intera classe politica, venuta meno al suo ruolo nello scacchiere internazionale, non serviva più.Oggi la Basilicata si colloca dentro questo scenario nazionale: territorio di passaggio, appetibile per i clan, fragile nei suoi presidi democratici. Parlare di mafia qui significa parlare di potere, economia, memoria. Significa interrogarsi non solo sulle responsabilità locali, ma su come un sistema consolidato di complicità e silenzi continui a produrre effetti.Il titolo del convegno, “Il coraggio della memoria”, restituisce l’essenza del dibattito. Il coraggio non è solo ricordare le vittime, ma indagare i segreti. Non è evocare la mafia al passato, ma riconoscerla nel presente. E, soprattutto, non è delegare la verità a chi verrà dopo, ma pretenderla oggi.
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