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04.08.2025 - 16:34
La pasta nei supermercati è diventata sempre più cara, con prezzi triplicati rispetto a pochi anni fa, ma chi produce il grano duro alla base di questa eccellenza italiana continua a vedersi riconosciuti compensi fermi a vent’anni fa. È l’allarme lanciato dalla Cia-Agricoltori e da Leonardo Moscaritolo, produttore cerealicolo di Melfi e presidente di sezione della Cia per l’area cerealicola della Basilicata. Secondo i dati diffusi, i prezzi corrisposti ai cerealicoltori si aggirano intorno ai 34 centesimi al chilo per il grano duro, un valore che non copre più i costi di produzione, ormai saliti fino a 1.200-1.300 euro per ettaro. Al contrario, sugli scaffali, il prezzo della pasta può oscillare tra 2,5 e 4 euro al chilo. “Serve chiarezza – spiega Moscaritolo – perché questo divario danneggia i produttori e mina il futuro di un comparto strategico.” La situazione è aggravata dal calo di semine e dalla crescente dipendenza dell’Italia dalle importazioni, spesso provenienti da Paesi che utilizzano pratiche non consentite nella filiera nazionale, come il glifosato. “La cerealicoltura rischia di diventare sempre meno remunerativa – aggiunge Gennaro Sicolo, vicepresidente nazionale della Cia – e pericolosamente soggetta alle speculazioni di mercato.”
Le richieste della Cia
Tra le proposte avanzate, la Cia chiede al Governo e all’Unione Europea di:
garantire la tracciabilità e la trasparenza di tutta la filiera, dal campo allo scaffale;
rendere obbligatoria un’etichetta chiara che certifichi l’origine del grano italiano utilizzato per la pasta;
tutelare la produzione interna, sostenendo i cerealicoltori con strumenti efficaci di valorizzazione e difesa dei prezzi;
rafforzare i controlli sulle importazioni.
“Se le cose continueranno così – avvertono gli agricoltori – l’Italia perderà il primato della pasta made in Italy, e i consumatori rischieranno di non sapere più cosa comprano.” Un appello accorato che arriva da un settore che contribuisce in modo determinante all’economia lucana e nazionale, ma che oggi si sente lasciato indietro nonostante il boom dei ricavi dell’industria di trasformazione.
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