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03.08.2025 - 17:46
Un prato in fiore come simbolo dell’esistenza, fragile eppure capace di rigenerarsi senza sosta. È questa l’immagine che Papa Leone XIV ha scelto per raccontare la condizione umana nell’omelia della Messa conclusiva del Giubileo dei Giovani, celebrata nella spianata di Tor Vergata, a Roma, davanti a oltre un milione di ragazzi provenienti da tutta Italia e da diversi Paesi del mondo. «L’incontro con Cristo Risorto cambia la nostra esistenza», ha detto il Pontefice. «Illumina i nostri affetti, i desideri, i pensieri. Le nostre fragilità non devono spaventarci, quasi fossero argomenti “tabù” da evitare». Secondo Papa Leone XIV, è proprio in quelle fragilità che si nasconde la bellezza più autentica della vita: «La fragilità di cui ci parlano è parte della meraviglia che siamo». Per esprimere questa idea, il Papa ha invitato i giovani a pensare all’erba di un prato: «Non è bellissimo un prato in fiore? Certo, è delicato, fatto di steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi. E però, al tempo stesso, subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente». Anche nei mesi più freddi, quando tutto sembra immobile, «la sua energia freme sotto terra e si prepara a esplodere, a primavera, in mille colori». Non una vita scontata, dunque, ma un’esistenza in continuo divenire, che trova il suo senso più alto nel dono e nell’amore. «Siamo fatti non per una vita dove tutto è fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente», ha sottolineato Papa Leone XIV. «Così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere». Di fronte a questa fame di infinito, il Pontefice ha invitato i giovani a non ingannare il cuore «cercando di spegnerla con surrogati inefficaci», ma ad ascoltarla come un richiamo alla vera pienezza. La celebrazione è stata anche occasione di vicinanza alle sofferenze del mondo. Prima della recita dell’Angelus, il Papa ha rivolto un pensiero ai ragazzi e alle famiglie colpiti dai conflitti: «Siamo con i giovani di Gaza, dell’Ucraina e di ogni terra insanguinata dalla guerra». E ha rilanciato un messaggio di speranza: «Un altro mondo è possibile con l’amore di Cristo, un mondo in cui i conflitti non vengono risolti con le armi ma con il dialogo». Il Giubileo dei Giovani si è rivelato un evento straordinario anche sul piano organizzativo. A confermarlo è stato il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, nella conferenza stampa di chiusura. «Voglio esprimere la massima soddisfazione per questo evento dei giovani, che è stato un evento straordinario. Un milione di giovani ha animato la nostra città. Dal punto di vista organizzativo la prova è stata superata. Tutto il Paese può essere orgoglioso di queste giornate memorabili». Gualtieri ha voluto sottolineare il lavoro di programmazione «iniziato un anno e mezzo fa» e l’efficacia del “metodo Giubileo” fondato sulla collaborazione tra le istituzioni. «Roma ha mostrato di essere una Capitale di cui tutto il Paese può essere orgoglioso», ha dichiarato. «Il Giubileo lascia in eredità una capacità logistica al servizio della città e della nazione». Mentre l’assemblea si scioglieva e i giovani riprendevano la strada di casa, l’invito del Papa restava come un seme: non avere paura della propria debolezza e custodire la sete di ciò che va oltre il visibile. Perché – come l’erba di un prato – anche la vita più fragile può diventare feconda, se radicata nell’amore
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