Cos’è rimasto, cos’è cambiato e soprattutto: qual è oggi la sua Lega?
«È stata senza dubbio una storia di alti e bassi, di gioie e di dolori. Ma oggi possiamo affermare con convinzione di avere una Lega vera: più matura, più radicata nel territorio e composta da persone che credono profondamente nel progetto di Matteo Salvini e nei valori della Lega. Abbiamo attraversato un periodo in cui la Lega ha attratto un flusso sovradimensionato di persone, alcune delle quali hanno visto e inteso il partito come uno strumento utile e funzionale per inseguire ambizioni personali. Quella fase è ormai alle spalle. Oggi ci sono grandi margini di crescita e possiamo dire di essere usciti a testa alta dal momento più difficile. Dopo la Sardegna e l’Umbria, le elezioni regionali in Basilicata dello scorso anno sono state attenzionate in lungo e in largo nello Stivale. In quell’occasione abbiamo ottenuto un'affermazione importante. Ad oggi stiamo proseguendo un percorso di crescita e ci stiamo strutturando come autentica comunità politica. A Matera, nostro nervo scoperto, abbiamo ottenuto di recente un ottimo risultato: il nostro obiettivo era portare la Lega in Consiglio comunale non rappresentata da opportunisti e voltagabbana, ma da uno dei nostri e così è stato. Ripartiamo, dunque, con entusiasmo e determinazione per continuare ad essere interpreti reali delle esigenze dei lucani».
E lei, Pasquale Pepe, è cambiato in questi anni?
«Grazie alla Lega ho avuto l’onore di diventare senatore della Repubblica. È stata un’esperienza straordinaria: ho imparato tanto, ho ricevuto molto. Come per la Lega anche il mio percorso ha attraversato momenti difficili, come la mancata elezione nel 2022, quando ero candidato alla Camera dei Deputati. Quella delusione, però, è stata ampiamente ripagata. Il mio contributo alle elezioni regionali non è servito solo a me, o non tanto a me, per essere eletto, ma è stato fondamentale per un senso di coesione al nostro partito, raggiungendo una percentuale significativa, non solo per la Basilicata ma per tutto il Sud. Sono cambiato? Sì e spero di essere cambiato in meglio».
Cosa consiglierebbe oggi al Pasquale Pepe di allora?
«Consiglierei esattamente quello che ho fatto ovvero un intenso lavoro sul territorio, questo alla fine mi è stato riconosciuto perchè ho saputo creare un collegamento importante tra la comunità lucana e il Senato. Oggi consiglierei di fare lo stesso e nei limiti del possibile di dare più attenzione all'attività di Palazzo».
È opinione diffusa che la Lega si sia "istituzionalizzata". La ruspa è stata rottamata o è ancora pronta nel retro del palazzo?
«La ruspa ha concluso la sua opera di demolizione e ora serve per costruire. Metaforicamente ha abbattuto tabù, superato situazioni stagnanti e aperto la strada a un’azione propulsiva di buon governo. Oggi il nostro compito è proprio questo: sfatare vecchi pregiudizi e restituire slancio all’azione politica. Siamo una forza che porta il popolo dentro le istituzioni, che apre le porte del palazzo alla voce dei cittadini. Io sto lavorando in questa direzione. Non spetta a me giudicare, ma sembra che i risultati inizino a vedersi. Abbiamo avviato interventi concreti e significativi, ad esempio sulla viabilità comunale e provinciale: le decisioni sono state prese mettendo al centro le esigenze reali delle comunità, ascoltandone aspettative, problematiche e necessità. La ruspa c'è e viene utilizzata per costruire».
All’epoca la Lega stava aprendo al Mezzogiorno. Cosa ha funzionato e cosa no?
«Il progetto di Matteo Salvini ha funzionato, un progetto politico nazionale, valido e con una prospettiva credibile. Probabilmente non ha funzionato la selezione della classe dirigente. Nei partiti tradizionali, e la Lega è un partito tradizionale, si entra se si ama e si condivide quel progetto politico. In questa prospettiva e sicuramente in buona fede abbiamo sbagliato, tant'è che in più circostanze c'è stato un cambio multiplo e repentino di figure che hanno avuto ruoli di responsabilità ma non hanno ripagato con la fiducia riposta. Il progetto resta fermo e sulla scorta di questa esperienza siamo molto più bravi a selezionare la classe dirigente».
Cosa direbbe oggi a chi guarda la Lega con diffidenza nel Mezzogiorno?
«Oggi non ha più motivo, potevo comprendere questa posizione qualche anno fa ma oggi non vedo motivazioni valide. L'attenzione della Lega sia dal punto di vista politico che amministrativo e governativo in tutto il Paese è sotto gli occhi di tutti. Stiamo lavorando in Regione Basilicata sia come Assessorato che come Gruppo consiliare per essere allo stesso tempo un partito identitario ma anche di buon governo. Ci stiamo sforzando per portare nelle istituzioni le istanze dei lucani, perciò non intravedo neppure un motivo valido per dire: io non credo nella Lega».
Autonomia differenziata e Sud: una contraddizione o un'opportunità per la Basilicata?
«Per la Basilicata ma anche per tutte le regioni del Sud l’autonomia differenziata rappresenta una grande opportunità. Significa trattenere le risorse sul territorio, responsabilizzare la classe politica locale e mettere fine al classico gioco dello scaricabarile. La Basilicata è una terra ricca di straordinarie risorse naturali, paesaggistiche e agroalimentari: può davvero cambiare passo. Voglio essere chiaro: l’autonomia differenziata tutela queste ricchezze e consente di trattenere sul territorio il denaro da reinvestire in settori strategici come, appunto, le infrastrutture o le politiche sociali. Con questo sistema possiamo sederci con maggiore autorevolezza ai tavoli decisionali con i nostri interlocutori, trattenere valore e investirlo qui, nella nostra terra. È un meccanismo virtuoso di buon governo che premia la responsabilità e toglie ogni alibi».
Sette anni fa raccontava "la sua Lega". Oggi come racconterebbe "la sua Basilicata"?
«C’è una Basilicata che, al netto delle difficoltà, continua a resistere. È una terra dignitosa, orgogliosa e resiliente. Una comunità che non si piange addosso, ma che ogni giorno si rimbocca le maniche, chiedendo di essere ascoltata e sostenuta. A questa Basilicata noi dobbiamo saper dare risposte concrete. Dobbiamo essere all’altezza di quello spirito profondo di resistenza e determinazione che caratterizza i lucani. Chi governa non può permettersi di arrendersi, deve condividere quello stesso coraggio, quella stessa tenacia, e tradurli in scelte, azioni e politiche capaci di migliorare la vita delle persone. La sfida è proprio questa: non amministrare per gestire l’ordinario, ma governare con visione, responsabilità e passione, per essere davvero interpreti delle speranze e dei bisogni della nostra gente».
Se avesse carta bianca per cambiare una sola cosa nella politica lucana, quale sarebbe?
«Se avessi carta bianca farei due cose collegate tra loro: abbattere il più possibile la burocrazia e trattenere con forza i migliori uomini e le migliori donne a disposizione. Poca burocrazia e grande capitale umano a servizio del governo regionale».
Ha letto il Mondo al Contrario?
«No, non ho avuto ancora il piacere di leggerlo ma troverò il tempo per farlo».
Assessore chiudiamo con una domanda introspettiva: ha mai avuto paura del potere?
«Il fascino del potere è maledetto, può ammaliare e in maniera subdola può disconnettere la mente, disorientare il pensiero e allontanare dalla gente e dal mondo reale. Può offuscare il giudizio e creare distanza. In questo senso può fare davvero e tremendamente paura. Personalmente ho avuto il timore che potesse distrarmi dalla semplicità delle piccole cose, dai gesti autentici e dal bene reale che danno senso alla vita. Chi mi conosce sa bene da dove vengo e quale sia stato il mio percorso. Ho sempre combattuto questa paura rimanendo me stesso, tuffandomi letteralmente tra la gente, dando e fortunatamente ricevendo affetto. Mai, ribadisco mai, ho temuto che potesse farmi commettere azioni immorali o contrarie alla legge e al buon senso perchè mi guida una solida scala valoriale. La mia attenzione è stata e continua ad essere quella di non lasciarmi portare via dalle relazioni vere, dal bene sincero e più profondo a partire dalla famiglia, da quello che rende una persona viva, apprezzata e stimata per ciò che è, non per il ruolo che ricopre».