IL MATTINO
il focus
18.06.2025 - 13:34
Chiudi gli occhi e immagina uno strumento capace di risolvere tutti i tuoi problemi in pochi secondi. Se hai avuto un’infanzia serena probabilmente ti verrà in mente una bacchetta magica: sottile, luminosa, con una stella in punta. Ecco appunto, una bacchetta magica, non l’intelligenza artificiale. Pensare che l’intelligenza artificiale possa risolvere da sola i problemi individuali – o addirittura quelli dell’umanità – equivale a immaginare che un’intelligenza umana potenziata possa fare lo stesso.
Ma quindi, cos’è davvero l’AI?
È una domanda che riecheggia ovunque. L’AI non è qualcosa di definito, l’AI fa, o meglio, può fare. Ma fa solo ciò che le chiediamo di fare. È una capacità, e come ogni capacità, va orientata e finalizzata, oltre che allenata. Tra tutte le innovazioni tecnologiche, l’intelligenza artificiale è forse quella meno autonoma: non esiste senza uno scopo, un obiettivo, un contesto. Vive del bisogno di essere indirizzata, spesso al servizio del business. Con l’AI si apre un grande divario tra competenze tecniche e bisogni di mercato – un divario che può essere colmato solo da figure capaci di comprendere entrambi i mondi: quello tecnologico e quello dei processi aziendali. Un’AI fine a se stessa ha poco valore. Serve a poco se non viene applicata, se non si traduce in soluzioni concrete. Senza una finalità chiara, rischia di diventare solo esercizio tecnico: reti neurali, modelli predittivi, linguaggi, sì… ma senza impatto reale. L’AI, come il cervello umano, può ragionare. Ma senza un contesto e uno scopo, gira a vuoto — come un pensiero ossessivo che torna sempre al punto di partenza.
Non è una bacchetta magica, non basta agitarla per risolvere problemi.
È uno strumento potente, sì, ma solo se guidato da una visione, da competenze e da obiettivi concreti. Come il pensiero umano, può esplorare, calcolare, prevedere — ma senza una direzione, resta intrappolata in un circuito vuoto. La vera sfida, quindi, non è aspettarsi che l’AI ci salvi, ma imparare a usarla con consapevolezza. Perché il valore dell’intelligenza, artificiale o meno, non è nella sua potenza, ma nel suo scopo.
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