IL MATTINO
Napoli in festa
24.05.2025 - 15:32
A Napoli gli scudetti sono un fatto recente, malgrado il calcio sia stato sempre praticato e la storia della S.S. Calcio Napoli sia antica, e allora perché si è arrivati al quarto scudetto, quasi allo stesso modo con cui si è arrivati ai primi due, e cioè grazie alle capacità carismatiche ed attrattive di due persone: Antonio Conte, come allenatore e Diego Armando Maradona, come capitano delle squadre che per prime portarono il Napoli alla conquista della serie A? Ma voi direte, c'è anche il terzo scudetto, bello bellissimo, eppure quello scudetto è un'altra cosa, narra di una squadra costruita per vincere e con la certezza nel finale.
Gli scudetti di Maradona e questo di Conte hanno il sapore dell’imprevedibilità e di un altro modo di vivere il calcio.
Antonio Conte
Quando Antonio Conte è arrivato a Napoli la squadra non esisteva più, quella del terzo scudetto, vinto con determinazione e con Luciano Spalletti alla guida, in qualità di allenatore. Dopo lo scudetto il nulla, come se fosse stato tutto un grande sogno che al risveglio scompare, tanto da dare l'illusione di non essere mai esistito. Poi è arrivato Antonio Conte con la sua professionalità, e sì usiamola questa parola, e la sua voglia di vincere, così potente da ribaltare completamente la percezione del calcio stesso a Napoli, almeno in una parte della popolazione tifosa accanita ma lucida, che ha finalmente capito che si arriva alla vittoria anche soffrendo sul campo.
E così Antonio Conte ha riportato i calciatori a fare gli operai, in maniera costruttiva e cioè li ha messi ad inseguire il risultato per arrivare stremati al finale e alla vittoria, insomma gli ha fatto sentire l'odore del sangue, quello che al massimo si sente nei campi di Promozione, non di certo in serie A, sempre più anestetizzata e plastificata.
In tutto questo suo operare c’è la logica e la visione di gioco assimilate durante la sua vita da calciatore, di quella squadra che a Sud, ma anche altrove è sempre stata vista come il diavolo e che porta il nome di “Juventus”.
Eppure se una cura "Juventus" Conte ha fatto al Napoli è stata una cura salutare, negarlo sarebbe sciocco, vorrebbe dire negare l'evidenza e l'evidenza è lo scudetto.
E poi quel suo tenere i calciatori lontani dalle polemiche, protetti dalla sua figura, strigliati ben bene in campo, ma accolti e mai discussi in pubblico, ha sicuramente giovato ed ha cementato un rapporto lavorativo e calcistico, in pratica ha insufflato alla squadra e pure alla città un po' di sano professionismo, al posto di quell’anarchia da Regno delle Due Sicilie che è sempre stata la fortuna e la sfortuna del Sud, perché a Sud questa anarchia è sempre sconfinata nell’albagia, a Nord invece l'anarchia del Sud è diventata incapacità di essere artefici di un cambiamento, complici la Letteratura, e sì tra gattopardi e tanto altro, e una politica assistenzialistica, che mentre a chiacchiere risollevava il Sud, nei fatti favoriva il Nord, grazie alla Cassa per il Mezzogiorno.
Tutte cose che Antonio Conte conosce benissimo, è di Lecce, ma da cui si è sempre smarcato felicemente, come quando giocava e con la fascia da capitano della Juve.
Questo modo di leggere e di scrivere le partite è la sua poetica, ovvero il nocciolo del suo esercitare il proprio mestiere. Il calcio è per lui ciò che ha imparato sulla sua pelle e ha fatto in modo di trasmetterlo alla squadra, creando un punto di non ritorno, perché adesso al di là dei bilanci in pari, che sono merito di ADL, il Napoli potrà anche dire di volere e potere di più grazie ad Antonio Conte.
Eppure il suo anno napoletano è stato durissimo e tormentato, per uno come lui che sbrocca facilmente, è stato anche un grandissimo esercizio di stile, perché Napoli comunque lo ha cambiato, e al di là di ciò che farà dopo questo momento magico, Napoli non potrà tornare a discutere di calcio come prima, e forse si inizierà a diventare finalmente pragmatici anche qui, a Napoli.
Diego Armando Maradona
Il corpo di Diego Armando Maradona era ancora caldo che iniziarono i distinguo, le precisazioni, l'eterna litania del Sud come luogo in cui ci si accontenta di essere rappresentati da un calciatore, per giunta vizioso, per risolvere problemi antichi e rifarsi il maquillage, come se morire a sessant'anni, dopo una vita di eccessi ma anche di vittorie, non fosse già una pena troppo grande per un talento immenso, senza che se ne sottolineassero ulteriormente le pecche, e come se l'incontro tra lui e Napoli non fosse stato un incontro tra pari, raro, e a titolo gratuito, tanto da essere privato.
Di Maradona e della sua vita non c’è niente che sia rimasto segreto, o meglio della fragilità e della solitudine dell'uomo si è sempre ignorato tutto, a riprova che la genialità è un dono oscuro, uno specchio infranto. Il privato era pubblico con “el pibe de oro” e questo ne ha condizionato in maniera anche drammatica l'esistenza, perché quel pallone che era parte di lui, e che lui riusciva a gestire in maniera sensazionale, era il suo lasciapassare per una vita senza limiti, una vita che si era guadagnato da piccolo e da solo, vita che ha spremuto come un limone, senza remore e con la consapevolezza che fosse tutta sua. Chiunque l'abbia visto giocare al San Paolo non potrà mai scordare l’enorme sensazione di gioia e di libertà, che donava a chi lo osservava ma anche a chi giocava con lui. La sua capacità di scendere in campo per giocare e divertirsi alla sua maniera faceva dimenticare ogni cosa.
Era un potente analgesico, un antidepressivo e lui consapevole di tutto questo, attorniato com'era da una corte compiacente e compiaciuta, come qualsiasi re, faceva i capricci.
Sullo sfondo Napoli, la città che l’aveva adottato e che lui aveva adottato a sua volta, una Napoli molto diversa da quella odierna. Nella sua Napoli tutto ancora si faceva alla luce del sole, senza la mediazione delle serie televisive, “Gomorra” era lontano da venire, e pure il crimine sembrava un gioco, letale ma un gioco, da romanzo criminale, per l'appunto.
In quella Napoli, letteraria e criminale, cercava ricovero e pace, il peso enorme della popolarità non era un fardello leggero, soprattutto per uno che si era ritrovato dal niente ad avere qualsiasi cosa.
Eppure lui era riuscito a pacificare le mille anime della città, facendole da garante e restituendole la dimensione di capitale di un regno, quel regno che continua a essere memoria viva.
A quei tempi bastava dire che il pibe de oro avrebbe attraversato una strada per rendere impraticabile quella strada, a causa della folla, e anche se non fosse mai arrivato, tutti si sarebbero convinti della sua venuta, e lo avrebbero visto proprio lì, non altrove.
Giusto o sbagliato che fosse era vero, e il fatto che fosse vero, non verosimile, rende la sua figura ancora più potente, perché la verità quando assume una forma umana è impossibile da scardinare.
Se per Napoli, Maradona ha incarnato la verità e la concretezza è accaduto perché la genialità dell'uomo ha intercettato quella della città, il suo essere eterno chiaroscuro, il suo barocchismo e quella putrescente e perenne luminosità che erano caratteristiche esistenziali dello stesso calciatore argentino non solo di Napoli.
Lui come Napoli viveva perennemente lontano dalla sua zona d'ombra, tanto da doversi stordisce per potere reggere il peso di tutto questo.
Un delirio orgiastico che era parte del gioco che aveva scelto di fare, al punto da esserne lucido e consapevole tanto da parlare di sé in terza persona e da dire:
«Pensate cosa avrebbe potuto fare Diego Armando Maradona, il più grande calciatore del mondo, senza cocaina? »
Nessuno lo saprà mai perché il vizio era diventato anche quello parte della sua parabola esistenziale e lo ha portato alla morte in maniera rapida. Una morte irreale perché un mito non muore, semplicemente perché chi si dà in pasto, in maniera generosa e totale ai suoi fan, è oltre qualsiasi categoria, e volercelo condurre a forza, non farà altro che renderlo ancora più immortale e radicato nella memoria di chi lo ha intercettato da vivo, ma ancora di più nella memoria di chi ne ha solo sentito narrare le gesta.
Da qui l'inutilità di qualsiasi distinguo, ma anche di qualsiasi sforzo di comprensione tardiva, o peggio ancora di riduzione a farsa o a quadretto olografico di Napoli.
Conclusioni
Le due Napoli di Conte e di Maradona hanno dunque tratti comuni: la loro determinazione e abnegazione al calcio e alla città; e l'importanza dei tifosi che sono rimasti identici in questi anni, benché oggi Napoli sia diventata una delle mete turistiche più frequentate al mondo. Un fatto non strano, vista l’apertura che la città ha sempre avuto nei confronti degli stranieri e della diversità, e a questo punto grazie anche al calcio e alla capacità dei tifosi di farsi collante umano colorato e compatto.
Insomma più che i Borbone oggi abbiamo i Viceré: Conte e Maradona, che al successo sono arrivati con fatica e con talento, e questo hanno sempre dimostrato nei campi di calcio, riuscendo a creare un mondo uguale e forse anche giusto, grazie alla forza e alla fiducia nelle proprie gambe, in quelle dei loro compagni di viaggio, per sempre alla ricerca del pallone e della vittoria.
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