IL MATTINO
Cosa offre la Tv
12.05.2025 - 16:13
La droga, e l'urgenza e la necessità di incontrarla, è una costante nell'esistenza umana, che assume connotati differenti, a secondo dei periodi storici. Se in passato era un'abitudine o un vizio per ricchi e per artisti, a partire dagli anni ‘70, e ancora di più adesso, è diventata la normalità.
La droga è accettata socialmente, la sua diffusione è capillare, tanto da esserci piazze di spaccio libere dappertutto, non più solo nelle periferie delle città ma anche nel centro.
Il mercato globale lo consente, grazie al continuo rimescolio delle carte esistenziali, e grazie anche alla presenza di varietà di sostanze psicotrope a buon mercato e con effetti molto più che letali tali da indurre dipendenze istantanee.
Eppure è impossibile mascherare la dipendenza, non è che solo il buco attesti l’iscrizione al club, ma poiché il fenomeno è enorme, chi sa tace e molti ne approfittano per sistemarsi, economicamente, per poi uscire dal giro, in maniera pulita e indolore.
Questa flessibilità rende il fenomeno ancora più pervicace, insomma oggi lo sballo è libero come il rutto ed è più conveniente delle frequentazioni nelle sale giochi.
Cinque anni, fa per Netflix, uscì la serie Tv “SanPa: Luci e ombre a San Patrignano” che dal libro di Fabio Cantelli Anibaldi ripubblicato nel 2024 “SanPa madre crudele e amorosa”- era uscito nel 1996 con il titolo “La quiete sotto la pelle"- prese il passo, visto che l'autore era tra coloro che la Comunità l’hanno vissuta.
La serie televisiva è ispirata a Vincenzo Muccioli, alla sua esperienza per il recupero delle persone affette da tossicodipendenza, ed è attualissima, del resto le compulsioni, di cui l’abuso di sostanze psicotrope è uno dei molteplici aspetti, non sono mai passate di moda.
Negare che la droga possa essere piacevole non semplifica il problema, come non lo semplifica credere che le categorie del buono e del bello siano statiche e per ciò stesso di fatto accettate in maniera immediata e automatica.
“SanPa: luci e ombre di San Patrignano” ha solo riacceso i riflettori su un mondo, quello del vizio, che travalica il bisogno di essere presenti a se stessi, in un momento storico in cui questo vizio ha perso la sua dimensione di rottura e di rabbia, benché le droghe per loro stessa natura siano tutt'altro che espressione di rabbia a lungo andare, per diventare un modo come un altro di stare al mondo, al punto da essere socialmente accettato.
La Gintoneria, un esempio di cronaca tra tanti, il proprietario, i suoi clienti sono ancora presenti tra le notizie che scandiscono il ritmo delle nostre giornate, e la sua storia e la storia di chi con lui condivide vizi e abitudini non sono così distanti dalle storie che la serie televisiva, documentaristica, cerca di raccontare, storie che avevano in Vincenzo Muccioli il demiurgo, prima che la tossicodipendenza fosse un problema da fare gestire agli psicologi, alle carceri e anche al metadone.
Se ci fermiamo ad analizzare il ruolo di una comunità come San Patrignano, non possiamo che pensare a quelle famiglie in cui, grazie alla presenza di un padre padrone, i figli volenti o nolenti si raddrizzano anche con le botte e la delazione, perché un tossicodipendente non ha niente da pensare, se non al prossimo viaggio, sia esso buco o altro, e dargli una buona dose di ceffoni sembra essere l'unico modo per rimetterlo in carreggiata.
Sarà vero?
La legge dei grandi numeri dice che è possibile, quella degli uomini un po’meno, e così le polemiche che ci furono sulla serie sono pari al plauso, per avere scelto di raccontare questa esperienza.
Come in qualsiasi situazione estrema, figlia della realtà, così l'esperienza comunitaria di San Patrignano non può essere letta in maniera lineare e nemmeno giudiziaria, di fatto in quella esperienza di recupero tutto ruotava intorno alla presenza, e alla possanza fisica e mentale, di Vincenzo Muccioli, uno che accettava chiunque e che a chiunque applicava le stesse regole.
Quindi Vincenzo Muccioli occupava quello spazio che i tossicodipendenti riempivano di sostanze, talvolta dolci come l'eroina, talaltra fredde come la cocaina, talvolta liquide e colorate o anche accelerate come le droghe sintetiche, e si sostituiva, praticamente in toto, a quel cuscino su cui la testa del tossicodipendenti si poggiava, e a forza glielo strappava il cuscino, riportando i tossicodipendenti al dolore nudo e crudo della vita, senza indulgenza ma con maggiore pietà e pazienza, se c'era chi non riusciva ad accettare questo scambio.
Lui non voleva che i suoi assistiti pensassero che drogarsi fosse bello, ma al contrario voleva mettere in chiaro e da subito che non lo fosse proprio.
Le crisi d’astinenza, la ricerca spasmodica di una nuova dose per sedare dolori, miasmi, ansie, dimostravano proprio che drogarsi era/è una scelta non sostenibile, proprio fisicamente, e poiché chi non è fisicamente presente a sé non può vivere in mezzo agli altri, il malcapitato era costretto a scegliere se accettare di vivere, anche soffrendo, o non vivere affatto ma soffrendo comunque.
Questo passaggio è saltato, e a fronte di enormi disponibilità economiche o di risorse esigue, vivere attaccati al cuscino, con la testa e con il cuore anestetizzati, sembra l’unica via percorribile, perché nessuno ha più voglia di farsi carico in “maniera parentale” delle debolezze dell'altro, e perché non esiste più nessuno disposto ad accettare le ordinarie frustrazioni del vivere.
Solo per questa ragioni la serie di Netflix merita di essere vista e forse anche Vincenzo Muccioli e la sua esperienza, almeno nella sua forma embrionale, andrebbe rivalutata, perché la droga è un buco nero che seduce e attrae, chiunque, e per questo ognuno dovrebbe potere contare in un gigante buono.
Fuori di retorica ma soprattutto con violenta umanità.
«Attraverso testimonianze e immagini di repertorio, la docu-serie in 5 episodi racconta la controversa storia della comunità di recupero di San Patrignano fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978, a Coriano, in provincia di Rimini.
SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano ripercorre il ventennio di gestione della comunità da parte di Vincenzo Muccioli, dalle origini, nel 1978, fino al 1995, anno della sua morte, e il contesto sociale, economico e politico in cui l’Italia si trovava in quel periodo. La piaga dell’eroina che, in quegli anni, ha spezzato un’intera generazione e la volontà di Vincenzo Muccioli di trovare una soluzione a questo problema e di salvare la vita di moltissimi ragazzi e ragazze, si alternano alla bufera mediatica e processuale che, a qualche anno dalla fondazione, ha investito Muccioli e la comunità per le modalità con cui i pazienti venivano tenuti lontani dalle droghe. Un’occasione per ripercorrere, o per scoprire, una storia che ha segnato un’epoca del nostro Paese.
La docu-serie è stata realizzata attraverso 25 testimonianze, 180 ore di interviste con immagini tratte da 51 differenti archivi [...] La regia è di Cosima Spender (Palio, Premio Miglior Montaggio al Tribeca Film Festival 2015). Una Produzione 42. Sviluppato, scritto e prodotto da Gianluca Neri. Prodotto da Nicola Allieta, Andrea Romeo, Christine Reinhold. Oltre a Gianluca Neri gli autori sono Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli. La supervisione al montaggio è di Valerio Bonelli (Philomena, Palio, Darkest Hour - Best Film -Academy Awards Nominee 2018)».
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