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La Basilicata come paradigma: Francesco, la Chiesa e le ferite del Meridione

La Basilicata come paradigma: Francesco, la Chiesa e le ferite del Meridione

Fin dai primi giorni del pontificato Papa Francesco ha provato, non senza difficoltà, a spostare il baricentro della Chiesa. Non solo e non più i palazzi vaticani, ma le periferie del mondo. Perchè a Bergoglio non solo piacciono, le considera il cuore pulsante del Vangelo. Periferie urbane, certo, ma anche quelle geografiche e spirituali. In questa mappa del cuore, la Basilicata si inserisce quasi naturalmente come una terra marginale e resiliente. Regione di emigrazione, di borghi spopolati, di giovani costretti a partire e di famiglie che resistono tra mille fatiche. Non è un caso se, in riferimento al Sud Italia, Francesco parli spesso di dignità, di lavoro, di accoglienza e di speranza. Tutte parole che in Basilicata assumono una forza particolare. Il Papa venuto dalla fine del mondo nel 2014 ricevette una delegazione di operai lucani della Fiat di Melfi, insieme ad altri metalmeccanici italiani. Lì ascoltò, senza filtri, storie di precarietà, turni massacranti e dignità operaia. Non fece proclami, ma lasciò un messaggio chiaro: “Il lavoro non è solo produzione, è dignità.” In diverse omelie e incontri ha citato le diocesi lucane – come Matera-Irsina, Potenza, Tursi-Lagonegro – evidenziando il ruolo dei parroci di frontiera, di quelle comunità “che resistono alla desertificazione spirituale”. Nel 2022, infine, ha ricevuto in Vaticano una delegazione di sindaci lucani che gli hanno consegnato una copia simbolica della Costituzione italiana. Francesco li ha incoraggiati a “custodire le radici, ma anche a inventare il futuro”. ll momento più forte nel rapporto tra Papa Francesco e la Basilicata arriva il 25 settembre 2022 quando il Pontefice si reca a Matera in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale. Negli anni ’50, Palmiro Togliatti e successivamente Alcide De Gasperi, rimasero scioccati dalle condizioni di vita nei Sassi di Matera, antichi quartieri scavati nel tufo dove intere famiglie vivevano in case-grotta, spesso senza acqua, né servizi igienici. In quei luoghi dimenticati, uomini, donne, bambini e animali convivevano in condizioni di estrema miseria e in precarie condizioni sanitarie. Fu proprio in questo contesto che l’intellettuale Carlo Levi, autore del celebre Cristo si è fermato a Eboli, coniò l’espressione "vergogna nazionale", che poi divenne “vergogna d’Italia”. A Matera, città dalla forte spiritualità cristiana e dalla storia millenaria, come noto, il pane ha una sacralità non solo agroalimentare. Simbolo di sacrificio, condivisione e identità, il Pane di Matera è protagonista di riti religiosi, tradizioni contadine e memorie familiari tramandate di generazione in generazione. Nel Cristianesimo il pane ha un valore centrale: è il corpo di Cristo nell’Eucaristia, è l’alimento della vita eterna. Il tradizionale Pane di Matera IGP, dalla caratteristica forma a cornetto, richiama proprio la simbologia cristiana. La sua struttura a tre punte può essere interpretata come un riferimento alla Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. La sua lavorazione, lunga e complessa, segue rituali che rispettano antichi tempi di lievitazione e cottura – una sorta di "liturgia" laica del pane. Durante le festività religiose, come la Settimana Santa o la Festa della Bruna, il pane assume un ruolo ancora più importante. Viene benedetto, portato in processione, donato ai poveri. Un pane che non è solo da mangiare, ma da condividere. Francesco celebra la Santa Messa nella città simbolo del riscatto del Sud, esempio di rinascita culturale e urbana, ammirata in tutto il mondo. Non a caso, usa parole durissime contro “la fame di pane e la fame di giustizia”. E dice: “Gesù si fa pane per sfamare la nostra fame. Ma nel mondo ci sono ancora troppi che muoiono di fame. Non possiamo restare a guardare.” Matera, città scavata nella pietra, diventa così icona della Chiesa che scende nel concreto, nella terra, nelle piaghe sociali. Il messaggio è chiarissimo: la Basilicata non è ai margini. È al centro del cuore cristiano. Francesco non ha mai usato toni pietisti nei confronti del Sud. Ma ne ha sempre denunciato le storture: clientelismo, corruzione, disoccupazione. In questo senso i problemi della Basilicata sono perfettamente in linea con le sue preoccupazioni. Lo spopolamento con migliaia di giovani che ogni anno lasciano la regione. La mancanza di lavoro stabile che colpisce le famiglie, i padri, le madri e che mina le basi stesse della dignità e il rischio di rassegnazione che Francesco combatte con forza con l’invito a “non lasciarsi rubare la speranza, non amministratori di paure ma imprenditori di sogni”. La spiritualità lucana fatta di feste patronali, processioni nei boschi, Madonne nere, santi contadini, è una religiosità popolare che spesso viene vista con snobismo. Ma Francesco no: la valorizza, la rilancia, la benedice. Per lui la religione “dal basso” non è folklore: è fede viva, incarnata nella cultura e nella fatica quotidiana ed è l’opposto della religione da salotto, che guarda il Vangelo come un codice morale e non come una forza sovversiva. Francesco non ha cambiato il destino della Basilicata, ma ha dato voce a quella terra che non urla, ma resiste. E in fondo è proprio questo che fa un buon pastore: riconosce le pecore che gli altri non vedono.

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