IL MATTINO
L'intervista
21.12.2024 - 19:02
immagine di repertorio, non riferibile all'accaduto
La povertà è una possibilità nella vita degli esseri umani ed è argomento letterario, al pari dell'amore e della morte. Ci pone in una condizione di curiosità osservarla e allo stesso tempo ci fa desiderare di non vederla.
Se ne leggiamo diventa un espediente narrativo come un altro: ci tocca ma non può essere uno stato nel quale scivolare.
E invece non è così, tanto più che oggi ci sono diverse sfumature di povertà, perché la "narrazione" della povertà segue di pari passo il cambiamento sociale. E questo già ci prova come la povertà sia un indicatore importante dello stato delle cose, non solo un buco nero.
In Italia il passaggio da una società contadina (essere poveri significava vivere di stenti, al massimo si poteva aspirare a mangiare pane nero con la cipolla, a differenza di Mastro Don Gesualdo che mangiava la zuppa di fave preparata da Rosina, come ci racconta Giovanni Verga) ad una società industriale ne ha modificato la strutturazione e così il racconto.
Ai nostri giorni la povertà non è più un' indisponibilità economica ma è anche una difficoltà a socializzare, frutto dell'industrializzazione. Industrializzazione che in Goffredo Parise, Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Ermanno Rea trovava il giusto approdo narrativo, attraverso le testimonianze di un passaggio dalla povertà come mancanza di mezzi, alla povertà sociale, quella che porta a non avere una vita autonoma, come conseguenza delle condizioni di costrizione all'interno di trappole industriali e burocratiche, livellate al minimo sindacale, che mai affrancano dal bisogno, ma concorrono ad incrementarlo, semplicemente perché rendono le vite precarie, al limite.
Oggi, tutta questa letteratura a corredo, con l'avvento di nuovi e vecchi poveri, manca. Per capire cos'è la povertà allora bisogna leggere la vita, e incontrare chi dell'assistenza agli ultimi ha fatto lavoro sociale, così da avere un istant book da sfogliare.
A Napoli, in via Tribunali 216, in una strada unica al mondo, che prova la grande disponibilità di Napoli, da sempre, nei confronti degli ultimi ha sede “L'Associazione Sisto Riario Sforza, ospedale gratuito per i poveri”. In questa strada infatti si trovano il "Pio Monte della Misericordia", La "Fondazione Banco di Napoli" ed il "Lazzaretto". Nella Chiesa di San Tommaso a Capuana, chiesa non sconsacrata, ha sede L' Associazione, un luogo dove la povertà diventa una mappa che percorre in lungo e in largo l'Italia, e che racconta un realtà fragile ma anche la voglia e il desiderio di darle un ordine attraverso l'aiuto ai bisognosi.
Il povero qui è solo una persona che ad un certo punto della sua storia va a finire a gambe all'aria. Una condizione ben più che umana ma che in un mondo in cui bisogna dimostrare di essere forti e vincenti viene rigettata in toto.
Modestino Caso è il presidente dell'Associazione.
"Il professore" per tutti quelli che entrano in questa Chiesa, a chiedere un aiuto concreto, ma anche per non sentirsi soli e dove ti assale l'odore delle mele da distribuire.
Professore, quando inizia questa esperienza sociale?
Inizia cinquant'anni fa nella Chiesa dei Santi Apostoli. Allora non esisteva la Cassa Mutua e c'era un'emergenza sanitaria. Sentivamo la necessità di aiutare gli ultimi e con altre persone, tra cui padre Luigi Stradella, fondammo l'Associazione.
Chi ha vissuto la povertà può capirla.
Sono figlio d'operai, questo mi ha spinto ad aiutare chi è in difficoltà.
Il povero è visto come una brutta malattia e questo gli fa avere tanti "no" da parte della società.
Però c'è una differenza tra il povero che potremmo definire consapevole e il povero vergognoso, e cioè i poveri che hanno paura e non vogliono essere additati come poveri.
Quello consapevole si affida, l'altro, il vergognoso, difficilmente, si riesce ad aiutare.
È ancora un disonore la povertà, soprattutto oggi.
C'è pure una percentuale altissima, il 60% delle persone, che si spaccia per povera.
Noi facciamo delle indagini, mando i volontari a controllare.
Talvolta faccio controllare anche chi non ha bisogno di prove.
Può fare sorridere ma le emergenze sono tante.
Ad esempio abbiamo avuto un paziente di Marcianise che aveva un tumore al cervello di un chilo e mezzo.
Siamo riusciti a farlo operare.
Adesso sta bene. È tornato a svolgere la sua vita normale.
Lo specialista che l'aveva preso in cura lo ha seguito anche durante la trasferta per l'operazione, perché collaborano con noi non solo medici napoletani. L’operazione è durata diciannove ore.
Chi vuole usufruire dei nostri servizi deve esibire il modello ISEI, modello che non deve essere superiore ai seimila euro annui.
Se arriva il padre di famiglia, con tre figli e mille e trecento euro di stipendio, gli prestiamo comunque assistenza.
Si trova già in una situazione al limite.
In che anno siete arrivati nella Chiesa di San Tommaso in Capuana?
Nella chiesa siamo arrivati nel 2012.
La Chiesa era chiusa da trent'anni.
C'erano migliaia di colombi vivi e morti, guano, pulci e ratti.
L'organizzazione, Padre Luigi ed io, abbiamo messo dei soldi e abbiamo ripulito insieme ai volontari.
Ci ha aiutato a titolo gratuito anche un' impresa, impresa che ha ultimato i lavori di muratura, visto che c'era anche questo problema.
Quanti medici collaborano con voi?
Il numero è aumentato negli anni.
Sono tutti specialisti che operano sia presso la nostra struttura, sia nei luoghi dove prestano servizio abitualmente.
Ci sono i volontari e poi da noi è possibile prestare anche il Servizio Civile.
Tra l'altro, visto che è impossibile fare visite specialistiche senza l'utilizzo di un ecografo, lanciammo una campagna di crowfunding per acquistarlo e scrivemmo anche al Papa, che ci donò una ragguardevole cifra di danaro, con grande generosità. Si trattava di un ecografo poliedrico con cinque sonde.
La ditta a cui ci rivolgemmo ci fece uno sconto enorme.
La fondazione Grimaldi in seguito ci ha regalato un intero reparto di oculistica, laser compreso.
Da noi arrivano persone da tutte le regioni, non curiamo solo i nostri concittadini e corregionali.
Come reperite i farmaci?
Grazie ai medici e agli informatori che ci supportano, previa ricetta. Al 90% siamo autonomi.
Quando servono carrozzelle, sedie a rotelle, letti ospedalieri riusciamo a consegnarli.
Abbiamo consegnato 92 carrozzelle.
Distribuite abiti e cibo?
Le esigenze sono tante e noi cerchiamo di accogliere tutte le istanze, grazie anche alla collaborazione con le altre realtà che si occupano degli ultimi.
Da quando c’è la guerra abbiamo spedito anche abiti e cibo in Ucraina e in Russia.
Organizziamo dei pranzi per i bambini, per gli anziani, in occasione delle festività, come il Natale, ma anche in periodi diversi.
Il pranzo in comune è sempre un modo per condividere le esperienze di vita differenti.
Vi avvalete di avvocati che prestano, gratuitamente, il loro servizio da voi?
Si, ci avvaliamo della collaborazione di avvocati civilisti e penalisti.
Organizzate eventi culturali, sempre in maniera gratuita?
La cultura è fondamentale, soprattutto in condizioni di disagio.
Ogni volta che organizziamo un evento, abbiamo piacere che ci sia anche uno spettacolo a fare da intrattenimento, così da coinvolgere tutte le fasce d'età.
Bisogna curare anche lo spirito non solo il corpo.
L'Associazione prende il nome dal Sisto Riario Sforza, ci spieghi perché?
Sisto Riario Sforza meritò l'appellativo di Borromeo redivivo, così lo rappresentò Giuseppe Mancinelli.
Era un paladino autentico della carità cristiana, dovette fronteggiare quattro epidemie di colera e tre eruzioni del Vesuvio.
Si mise a servizio degli ultimi.
Quello che noi facciamo tutti i giorni.
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