IL MATTINO
Cinema
23.11.2024 - 16:52
Esco dalla sala, a fine film, e la proprietaria del cinema mi chiede cosa ne penso de "Il gladiatore 2", mentre mi "sguinzaglia" dietro un signore, dicendo: "Anche a lui, come a te, non è piaciuto "Parthenope".
Il signore immediatamente mi risponde: « - Lei ha ragione è veramente un film brutto, ma nessuno ha il coraggio di dirlo
- Paolo Sorrentino non è Ridley Scott.
- No, però il maestro pure ha sbagliato tutto in questo film, dovrebbe andare in pensione. È tutto errato, pure il modo in cui sono tagliate le scene. Che senso aveva fare un sequel dopo tanti anni? Deve andare in pensione per rispetto di quello che è stato ed è Ridley Scott».
Messa così non c’è storia, ma proprio perché Ridley Scott ha fatto pure dell’ imperfezione e dell’incompiutezza, all’interno di una sceneggiatura a tenuta di botte di ferro, la sua cifra stilistica “ Il gladiatore II” funziona e vediamo perché.
Partiamo proprio dalla sceneggiatura del film, che porta la firma di David Scarpa, ormai alter ego di Ridley Scott, che qualunque cosa accada, compresi gli errori tecnici, mantiene la storia e quindi il film ben saldo e con i piedi per terra.
Oggi purtroppo la gran parte dei film, dei registi pseudo padreterni, sottovalutano la sceneggiatura. Pensano che tutto si risolva attraverso l'occhio, ma la parola, la storia, sono di primaria importanza in un film, è la sceneggiatura che fa la differenza, quasi sempre. Di David Scarpa non è che ce ne siano tanti in giro, perché scrivere sceneggiature non è più un lavoro d'eccellenza, ma un lavoro da fabbrica, e in alcuni casi pure a servizio di registi mediocri.
Appurato questo, e messo in evidenza questo, il resto è piano, perché "Il gladiatore II" non potendo avere la forza del primo film (il primo fu anche una grande macchina da guerra che permise ai film del genere "peplum", che lo seguirono, di sbancare al botteghino) pensiamo a cosa il film è per davvero: e cioè una gita al luna park. Per questo si capisce anche perché l'abilità di sir Ridley Scott di fare da battistrada e di fare proseliti sopravvive a tutto. Lui stesso si ripete, ha novant’anni ed ha filmato e prodotto qualsiasi cosa, con una foga che nessuno gli potrà mai disconoscere, con risultati non esaltanti, come per esempio "Le crociate", con cui voleva bissare il successo del primo gladiatore, ma se si capisce che il suo cinema è una continua riscrittura, allora si capisce pure che a lui interessa solo questo: riscrivere per rivedersi, amplificato, e possibilmente finito.
E così piuttosto che fare un sequel piano, David Scarpa e Ridley Scott hanno fatto l'editing del primo gladiatore, sottraendolo per poi farlo decantare ed esplodere nel secondo.
La figura centrale del film è quella di Macrino, Denzel Washington, che è parte di quella visione planetaria ed eterna della condizione degli schiavi in rivolta, bisognosi di riscatto, una visione che Ridley Scott ha da sempre abbracciato nei suoi film, e che l'attore interpreta in maniera luciferina.
E in questa sua interpretazione lucida (che è quella di tutto il cast, che non fa rimpiangere gli attori del primo film) c'è il senso della tragedia e dell’Epoca, le due molle che hanno dato al mondo antico la possibilità di continuare a vivere con noi e in mezzo a noi, insieme alla grandezza del sogno e della realtà che è stata “Roma”, e che è ancora oggi per tutti.
Il film marcia per queste ragioni in maniera spedita, tenendo saldamente le redini del mondo che fu tra le mani, e tirandole al momento giusto, al punto da smettere di essere un sequel, in moltissimi momenti, perché il contrappunto è "Roma" e il suo essere stata madre e padre di civiltà e di nefandezze, guida e perdizione per il mondo intero, al di là del primo film prodotto più di venti anni fa, e di cui è ancora vivissimo il ricordo in termini di impatto emotivo, ma che è pure lontano nel tempo e nei modi della sua ideazione.
È quindi "Il gladiatore II" la rivincita di Ridley Scotti su sé stesso, la riaffermazione del sentimento su ogni cosa, e dell'importanza di una giusta e sana educazione, che permetta a chiunque di sopravvivere a qualsiasi solitudine e a qualsiasi esclusione sociale, come accade ad Annone, Lucio Vero Aurelio, interpretato da Paul Mescal, figlio di Massimo Decimo Meridio, Russel Crowe, di cui Paul Mescal non fa rimpiangere in alcun modo la scomparsa, e di Lucilla, Connie Nielsen, il vero erede dell’impero Romano e di quello che era il sogno di Roma, non intaccato dalla paura, dalla codardia, dalla vendetta, e della morte.
Alla prima mondiale del film a Londra, c’era anche re Carlo, la prova di come il cinema di Ridley Scott sia talmente potente, da riuscire a tenere in piedi ancora il mito e il sogno di un mondo unico, che per Roma era la realtà, tanto da tenere ancora oggi imbracato il mondo intero.
Ps: a riprovare dell'importanza della scrittura per Ridley Scott e della citazioni per dare consistenza e contestualizzare meglio la storia, partendo dalla frase di Virgilio e del suo percorso nell'Averno, Averno che Scarpa e Scott usano come vero sfondo e sottotesto del film, ecco alcune delle citazioni, così che possiate copia incollare, per come va di moda oggi.
Cose pure queste che Ridley Scott sa.
« - Facile è scendere nell’Averno, giorno e notte la porta di Dite è aperta; ma ritornare sui propri passi e uscire alla luce, qui sta lo sforzo e la difficoltà (Annone/Lucio cita Virgilio e il Sesto canto dell’Eneide, un modo per svelare le sue origini di romano patrizio all'imperatore Geda, una genialata di Scarpa)
- Perché ti interessa il mio passato, se il mio futuro è morire per te nell’arena? (Annone/Lucio provoca Macrino, quando questi gli chiede quali siano le sue origini, ben sapendo che a Macrino di lui non importa niente)
- Ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità
(una citazione dal primo gladiatore, pronunciata dal medico Ravi, poi alleato di Annone/Lucio)
- La miglior vendetta è essere diversi da chi ha compiuto l’ingiuria
(Macrino è il deus ex machina di tutta la storia, il vero mazziere, e la vera personificazione del potere, quello eterno e anche malato, che porta al dominio, attraverso la distruzione)
- Ti prego, imperatore Geta. Torturami, se vuoi, ma non farmi la paternale ( frase pronunciata da Acacio quando viene scoperto, e anziché nascondersi, manifesta il suo disprezzo nei confronti di Geta e di Caracalla, per lui indegni rappresentati del popolo romano
- Io sono un vaso, colmatemi di vendetta
(la frase pronunciata da Geta nell’ambito dello scontro tra Acacio e Annone/Lucio, per lavarsene le mani)
- Hai comprato un gladiatore, non uno schiavo. La volontà è mia
( Annone/Lucio comprende che Macrino vorrebbe servirsi di lui come strumento di potere, ma ribadisce di essere un uomo libero, mosso solo dalla sua volontà)
- Forza e onore
( il motto di Lucilla e che Lucio condivide, al punto che con questo motto guiderà gli altri gladiatori verso la libertà)
- Roma deve cadere. Mi basta darle una spinta
(Macrino è sul punto di ottenere il massimo potere possibile, di fatto è l'unico console di Roma a tenere sotto controllo Caracalla)
- Io sono Lucio Vero Aurelio, il principe di Roma
( è così che Annone/Lucio si rivela a Ravi, “accettando” di essere il “predestinato” e il nuovo conductor a capo delle legioni di Acacio, per rovesciare l’Impero Romano e ristabilire la pace)
- Legno o ferro, una lama è una lama:
(con questa citazione, Annone/Lucio uccide il suo carceriere, servendosi dello strumento che lo avrebbe affrancato dell'essere un gladiatore)
- Dove c’è morte non ci siamo noi. Dove siamo noi non c’è morte
(frase citata all’inizio del film, è il motto degli uomini della Numidia, e dei gladiatori, in pratica è la linea su cui si muove il film, passo passo, come sempre accade con le citazioni di apertura nei libri) »
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