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Riletture: Attilio Veraldi "La Mazzetta"

Riletture: Attilio Veraldi "La Mazzetta"

Il giallo è il filone letterario a cui il lettore è oggi più affezionato, e le avventure di commissari, ispettori, detective sono diventate vere e proprie saghe, che dal testo scritto sconfinano negli sceneggiati per la televisione e per le piattaforme tematiche. Grazie a loro il successo del libro viene potenziato, anche nel caso di scritture non proprio a tenuta fortissima.
Non è il caso di Attilio Veraldi, colui che è stato ritenuto, a tutti gli effetti, il padre del giallo in Italia.
Fu Mario Spagnol a spingerlo a scrivere, troppo raffinato come traduttore per rimanere nell'ombra.
Nacque così “La Mazzetta” un giallo edito da Rizzoli nel 1976 (l'ultima ri/edizione del romanzo è del 2017, ad opera di "Ponte delle Grazie") e tutto quello che Attilio Veraldi aveva assorbito, attraverso l’occhio del traduttore, e grazie alla sua vita da giramondo, prese forma nelle duecentotrentaquattro pagine del libro.
Lo sfondo del suo libro? Napoli, non ancora "sfruttata", come oggi, dal punto di vista paesaggistico. La Napoli di Veraldi è caotica, metropolitana, con piazza del Plebiscito adibita ancora a parcheggio, le macchine in circolazione sono Alfette e 124, mentre il cattivo punisce chi gli disobbedisce a colpi di spaghetti al nero di seppia, fatti mangiare fino a scoppiare.
Il protagonista del giallo è un sedicente avvocato, non un investigatore, un Marlowe alla maniera di Chandler che Veraldi traduceva, ma un faccendiere di piccolo cabotaggio che vive di mezzucci, aspirando alle mazzette.
Insomma il mondo del romanzo è un mondo dove tutto avviene in chiaro e dove le mazzette rappresentano un attestato di appartenenza sociale, un riconoscimento per le capacità dimostrate di districarsi tra le complicate vicende esistenziali. Chi arriva ad intascare le mazzette è degno di rispetto, senza per questo diventare una persona di malaffare.
Le mazzette poi sono diventate altro, arrivando a determinare la fine di questo mondo in chiaro, dove i ruoli erano ben definiti e dove il male e il bene potevano talvolta confondersi, incontrandosi, ma mai deragliare.
"La Mazzetta" è quindi un affresco potente del mondo che fu grazie alla grande abilità stilistica e descrittiva di Attilio Veraldi, che lo sfondo napoletano non corrode. Il protagonista del libro, Sasà Iovine, per una “mazzetta” si fa coinvolgere in una storia di camorra e di appalti, mentre si muove nel libro come un croupier, e a mano a mano che la storia si svolge e si compie, passa le carte e smazza a suo modo, diventando un essere umano differente, malgrado una vita fatta di espedienti, traffici, e anche amori tutt'altro che lineari.
È un faccendiere ante litteram Sasà Iovine.
“Don Nicola non dimentichi che io posso ritirarmi dall’affare. Nel senso che il secondo appalto posso farlo passare a altri, basta fare un fischio e corrono in parecchi scodinzolando [..] come casi su un osso. Gli azionisti della congrega conoscono e riconoscono solo me […]L’anticipo si può anche restituire e tutte le prove si cancellano una volta annullato l’incasso e scomparso il nome del pagatore”.
La violenza che viene descritta nel libro è quella dei giochi di ruolo, dove il cattivo incute terrore per il fatto stesso di essere tale, e dove la delinquenza è circoscritta, perché surreale, confinata com'è a guapparia, più che a vera e propria macchina criminale.
E poi il mondo in cui si muovono i personaggi è un “mondo antico”, per la mancanza di supporti tecnologici, e pure per la presenza di una morale spicciola, che è poi diventata il tratto distintivo dei libri gialli che si sono susseguiti nel tempo, dopo di esso.
In pratica Attilio Veraldi indaga il centro e il nocciolo, di tutte le passioni umane che portano a delinquere e che hanno come tratto comune una certa mediocrità del vivere, che sembra quasi essere l'unica scelta di vita possibile, e quindi ci sono nel suo romanzo l'odio, la vendetta, la stupidità e soldi, le basi su cui poi poggia qualsiasi impero del male.
Non a caso don Michele, il boss, ama ripetere:” I soldi aggiustando ogni situazione “.
La Napoli che è tratteggiata è una Napoli non pizza e mandolino, e il ritmo della scrittura è serrato, al punto di svolgersi la storia stessa in circa due giorni.
Insomma tutto scivola in un imbuto come diceva Raffaele La Capria, a proposito della necessità del tempo breve in un racconto, solo che Attilio Veraldi questa regola la applica al romanzo, e la scelta si rivela felicissima.
A rileggerlo, dopo quarantotto anni dalla sua uscita, non si inceppa la potente macchina da guerra che Attilio Veraldi mette in piedi. Una macchina che non si appiattisce sui luoghi. Non abbiamo infatti solo Napoli, come luogo in cui la storia si compie, ma anche il Faito, Castellammare, Lago Patria e Milano, e poi benché l'autore segua le leggi del poliziesco americano, di cui si sente l’eco, riesce a smorzarlo pesantemente grazie al senso del tragico, che non appartiene alla cultura americana, ma che è presentissimo in quella greca di cui Napoli è matrice. È questo il grandissimo pregio di Attilio Veraldi: non avere piegato alla geolocalizzazione spicciola la storia, la ragione per cui l'opera resiste alle riletture e al tempo .
“La Mazzetta” è tutto tranne che un romanzo di genere o peggio ancora un romanzo provinciale, una cosa su cui Attilio Veraldi, per altro, scherza nel libro stesso.
“Logicamente ho pensato che l’unica maniera per ammorbidirvi veramente, dopo la ripassata dei fratellini, era quella di costringerci a mangiare e bere come Dio comanda. So che ci tenete alla linea e che vi permettete di schivare la grazia di Dio. Ma ditemi un po', avvocato, siete per caso inglese? […] Che sono tutte queste foresterie? La dieta, il vischi, la scarpa e il calzino. Fatemi il piacere, Iovine, mangiatevi la pasta, bevetevi il vino, che sono roba vostra.”
Iovine si muove nella zona di mezzo, quella che non conosce differenze e che è uguale dappertutto.
La stessa zona in cui si muovevano Truman Capote nel suo” A sangue freddo”, e dove si muovevano tutti gli autori americani hard boiled, Dashiell Hammett, Raymond Chandler, a cui Attilio Veraldi non fa il verso, ma con cui cammina insieme, attraverso la ricostruzione degli spazi, le caratterizzazioni dei personaggi, la descrizione dei luoghi sempre giustamente assolati o riduttivamente appiccicosi e umanamente malsani.
Sasà Iovine sarà anche il protagonista di “Uomo di conseguenza”, edito sempre da Rizzoli nel 1978.
Prima dei gialli di Veraldi c’erano stati i gialli di Giorgio Scerbanenco, il giornalista e scrittore di origine ucraina, che con le sue storie ci offre degli spaccati sociali degli anni ‘60, e che decretò la fine di quello che era l'unico genere di gialli concepito allora in Italia, quello americano, e poi insieme a lui Fruttero & Lucentini, la coppia di autori più ironica e sofisticata, per la loro intelligenza sottile, del panorama culturale italiano che con “La donna della domenica” acquisirono una popolarità ancora più ampia. E così per Attilio Veraldi fu naturale approdare ed andare oltre quella che era diventata la risposta italiana al noir. La sua scrittura è ancora interessante e potente per un lettore contemporaneo. Oltre che gialli i suoi libri sono cronache, tanto da farlo diventare, questo suo modo di narrare la realtà attraverso le maglie del malaffare, il capotistipite del giallo italiano, per via del brio e del disincanto di cui si serve per narrare, così da rendere anche il male una variabile umana, non solo uno stigma, da lì la sua fortuna.
Il libro vendette 45000 copie, in pochi mesi, e il film diretto da Bruno Corbucci con la partecipazione di Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Paolo Stoppa ebbe altrettanto successo.

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