IL MATTINO
L'intervista
04.08.2024 - 11:31
Il volume, che specifichiamo non è non un graphic, ma un libro d’arte di grande formato che fa entrare nel mondo del fumetto, dell’illustrazione e della pittura, si apre su tavole da capogiro, tutte rigorosamente realizzate in analogico, una documentazione ricca che gli fa evocare la Venezia delle grandi navi di oggi e quella del 1300 o del 1500, attraverso tavole complete, dettagli, bozzetti e matite. Un libro da sfogliare per la sua bellezza, un libro per appassionati di navi antiche e di architettura e pittura, ma anche un’opera sulla tecnica e l’arte del colore e del disegno, utile a disegnatori che vogliono entrare a far parte nell’art of comics e coglierne i segreti. "Disegnare Venezia" è un libro per appassionati del fumetto e del bel disegno, ma anche per studiosi di storia e arte… o per turisti curiosi anche di una Venezia antica da sognare.
Dopo il liceo scientifico, Matteo Alemanno si laurea in architettura allo Università Iuav di Venezia e comincia alcune collaborazioni con studi di architettura terminate nel 1995. Dal 1996 al 2001 si occupa di illustrazione e collabora con case editrici quali: Mondadori Scuola, Skira, Carlo Signorelli Editore, Silvana Editoriale, Futuropolis, Dargaud, Glénat, Dupuis e Boyds Mills Press, collabora con il Messaggero dei Ragazzi e illustra due romanzi scritti da Stefano Bordiglioni, pubblicati da Einaudi Ragazzi. Gli inizi come fumettista risalgono ai primi anni '90 sulla rivista Schizzo, idee e immagini del Centro Fumetto "Andrea Pazienza" di Cremona. Dal 2001 comincia a occuparsi professionalmente di fumetti. Inizia in quell'anno la collaborazione con l'editore belga Dupuis per il quale realizza una serie a fumetti in quattro libri intitolata inizialmente Mèche Rebelle, in seguito ribattezzata proTECTO, e con la serie collettiva Vampyres. Nel 2010 collabora con Glénat con il one-shot Les gardiens des enfers e, a partire dal 2011, con Dargaud con la serie Marina. In Italia ha collaborato con la rivista Mono. Ha collaborato con aziende tra le quali Aprilia, Oakley, Zoomarine, ha vinto il premio Carlo Boscarato nel 2011 e il Premio Attilio Micheluzzi nel 2012. Nel 2013 realizza le illustrazioni per il gioco Venetia progettato da Francesco Nepitello e Marco Maggi e pubblicato da Stratelibri/Giochi Uniti. Dal 2016 è docente presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Dal 2008 è docente presso la Scuola Internazionale di Comics a Padova. Nel 2009 e nel 2012 laboratori di fumetto per la scuola primaria. Dal 2016 è docente presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia.
Matteo, come nasce la tua passione per il fumetto?
Avevo quattro anni, non avevo ancora imparato a leggere e mi regalarono un volume di Topolino e questo libro è stato per me una specie di punto di partenza, non sapendo leggere guardavo le immagini e cercavo di capire, mi sono appassionato al disegno. In realtà ho sempre disegnato, a scuola sono sempre stato quello che disegnava, il disegno per me è una cosa identitaria. Sono “quello che disegna”, lo sono sempre stato. Non è soltanto una passione, ma un fatto abbastanza naturale. Non ho mai smesso di disegnare, ho continuato ed anzi ho unito questa passione a quella per la lettura, cose tipo Asterix, Jacovitti, Alan Ford. Alle scuole medie ho iniziato a dedicarmi al disegno umoristico, al liceo ho continuato su questa strada e mi sono accorto che il disegno era ottimo per essere “popolare” in classe, anzi, proprio nella scuola proprio quindi oltre ad essere identitario, era un mezzo per comunicare con gli altri.
Tu appartieni ad una generazione che non ha avuto molte possibilità di prepararsi al mondo del fumetto, all’epoca, parliamo degli anni Ottanta- Novanta, soprattutto in Puglia non esistevano scuole di fumetto come quelle di adesso. Come hai fatto per prepararti a diventare disegnatore professionista?
Ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono laureato in architettura e quindi sono un autodidatta, comunque ho sempre disegnato. Quando facevo architettura ho anche avuto una fase nella quale volevo fare il fotografo. Quando mi sono laureato ho fatto prima il decoratore poi sono passato alle illustrazioni nella scolastica, per quattro anni. Poi sono andato alla fiera del libro per ragazzi di Bologna dove c'erano degli editori francesi, per caso ho portato i miei disegni ad un editore belga e mi hanno subito preso a lavorare. Da quel momento non ho più fatto l’illustratore ma sempre e solo il fumettista.
Come hai conosciuto Laura Scarpa, l'editrice del tuo bellissimo libro su Venezia?
Ci siamo conosciuti tanto tempo fa e ci siamo sempre frequentati in questi anni. Ultimamente mi ha proposto di fare questo libro che raccoglie schizzi, disegni, tavole già pubblicate in questi anni che abbiano come tema Venezia e la pittura.
Questo, specifichiamo, non è un graphic, ma un artbook…
Sì, è un artbook che ci porta dalla Venezia meno nota del 1300, fino a quella attuale, del turismo, dell'acqua alta e delle grandi navi. Raccontare Venezia ci mostra che la città può essere l’anima di una storia, attraverso le architetture, i grandi pittori…
Per realizzarlo hai lavorato in analogico o in digitale?
In analogico. Le tavole sono esattamente come si vedono sui libri, realizzate con quella che si chiama tecnica del colore diretto. Mi piace molto lavorare in analogico e incoraggio anche i miei studenti a lavorare così. Secondo me non è questione di abitudine ma di ragionamenti che si fanno sul disegno. Chiaramente è più veloce lavorare con il digitale e, probabilmente, quando si arriva ad acquisire una certa competenza va anche bene, ma lo sconsiglio agli studenti perché trovo che sia difficile che loro riescano a individuare uno stile personale in questo modo. Mi spiego. Usare la carta, i colori, ti permette di trovare più facilmente il tuo segno, il tuo stile; invece con il digitale lavoriamo tutti con uno o due programmi tutti uguali e quindi è più difficile avere uno stile proprio, lo dicono anche alcuni editori quando ricevono le storie le proposte dai ragazzi più giovani. Questo nasce anche dal fatto che ci sono molti tutorial online che un po’ orientano verso un’estetica a metà strada tra manga e animazione Pixar. Inoltre con il digitale si modifica il rapporto con l’errore, dato che è possibile eliminarlo subito, si perde, a volte, anche la possibilità di scoprire che l'errore poteva essere meglio di ciò che abbiamo realizzato.
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