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Il liceo Lanza ospita la figlia del giudice ucciso dalla mafia per parlare alle nuove generazioni

Fiammetta Borsellino a Foggia per non dimenticare

Borsellino: «Qui a Foggia mi sono sentita accolta da una famiglia. Mio padre ha dedicato i suoi più bei discorsi ai giovani e così io oggi voglio parlare a loro».

Trecca: «Per i ragazzi di questo liceo, nati quasi tutti oltre il 2000, le terribili stragi del '92 sono storia; a meggior ragione parlarne qui oggi vuol dire fare davvero 'scuola'. Poiché il nostro compito non si ferma solo all'istruzione ma va soprattutto all'educazione e alla formazione dei giovani»

«Mio padre, il giudice Paolo Borsellino, è stato trucidato, insieme alla sua scorta, il 19 luglio 1992» quasi non ce la fa a proseguire Fiammetta Borsellino, che così, fortemente presa dall’emozione, parla agli studenti e alle studentesse del Liceo Lanza di Foggia nel corso della due giorni che l’ha vista testimone di legalità nella nostra città. Quella che Fiammetta Borsellino racconta all’aula magna del liceo foggiano è non tanto (e non solo) la storia di un giudice ma soprattutto quella di uomo, un uomo che credeva nella giustizia: «Ha svolto il compito da magistrato non come applicazione delle leggi ma come ‘missione’. Ecco perché non si è mai tirato indietro anche quando il pericolo era evidente e incombente». La figlia del giudice palermitano ha deciso di ‘raccontare’ la figura del padre in giro per il Paese dopo l’ultimo processo sulla strage di via D’Amelio, svoltosi lo scorso aprile, perché «solo riappropriandoci della memoria possiamo far sì che la vita vinca sulla morte». Ed è proprio per salvaguardare la memoria di ciò che è stato e degli uomini che hanno perso la vita perché credevano nella giustizia che l’istituto Lanza-Perugini ha deciso di invitare – nello stesso incontro – il giovane Nicola Ciuffreda (allievo della scuola e nipote dell’omonimo imprenditore edile, freddato dalla mafia foggiana nel 1990 all’età di 53 anni): «Mio nonno ha fatto la cosa giusta: ha deciso di denunciare i soprusi della mafia foggiana, di non piegarsi all’illegalità ma non sono riusciti a proteggerlo. Lui è morto e io non ho un nonno. Ammiro il lavoro della famiglia Borsellino, perché è ciò che non è riuscito a fare mio padre; lui si è chiuso nel suo dolore e non ha voluto parlarne. Per questo invece sono qui: per ricordare mio nonno, un’altra vittima che ha fatto la cosa giusta» così il giovanissimo Nicola. Nel corso dell’incontro si è posto più volte l’accento proprio su questa espressione: “fare la cosa giusta” a discapito di tutto e di tutti, “credere sempre e fino in fondo nella giustizia”. Ma è così facile? Una provocazione è stata lanciata dalla prof.ssa Mariolina Cicerale che sulla scorta dell’insegnamento degli Antichi ha voluto ricordare ai presenti che spesso «il rischio risiede nel fatto che la parola ‘legalità’ è un concetto ‘alto’, troppo ‘grande’, che spesso finisce con l’essere utilizzata e invocata da tutti [anche da chi non la pratica, ndr] specie durante le manifestazioni, ma poi evapora». Come è stato osservato dalla prof.ssa Cicerale, nonché dal dirigente scolastico Giuseppe Trecca, i ragazzi di oggi hanno bisogno di esempi concreti, altrimenti si rischia che questa tanto agognata legalità rimanga solo un’utopia, un concetto troppo alto e distante.

A tutt’oggi, dopo 26 anni e 4 processi, non ancora si arriva alla verità sulla strage di via D’Amelio: non ancora si sa chi sia stato a provocare la morte di Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta. La Procura di Caltanissetta sta indagando alcuni uomini dello Stato per depistaggio. Si arriverà mai alla svolta definitiva? Ci piace concludere con queste parole del giudice: «Se la gioventù negherà il consenso, anche l’onnipotente mafia svanirà come un incubo».

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