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La storia

Dal mio letto numero 7

«Ci sono posti in cui la primavera non arriva. Dal mio letto 7 il gorgoglio non è quello di ruscelli montani ma dell’ossigeno a muro da cui dipende il mio respiro»

Il coronavirus colpisce senza scegliere i bersagli. A coloro che fanno ancora i coraggiosi e sfidano l’infezione con atteggiamenti di stupida spavalderia dedica questa riflessione una donna di 47 anni, che chiede ovviamente l’anonimato, a cui il covid-19 non ha risparmiato una lunga sofferenza e dopo aver lottato per giorni con la morte, oggi dal suo letto numero 7 dell’ospedale Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni rotondo, questa mattina ha colto l’immagine del sagrato di Santa Maria delle Grazie deserto e innevato.

«Ci sono posti in cui la primavera non arriva. Dal mio letto 7 il gorgoglio non è quello di ruscelli montani ma dell’ossigeno a muro da cui dipende il mio respiro. Dal mio letto 7 il cielo resta fuori dalla stanza, non bussa, non batte ai vetri ma si tiene alto e lontano. Dal mio letto 7 i cinguettii non sono quelli delle rondini ma di ventilatori, respiratori e termometri impazziti. Dal mio letto 7 le mie braccia non sono pronte per accogliere le maniche corte: troppi aghi le hanno bucate e hanno lasciato lividi cangianti come tatuaggi. Dal mio letto 7 il soffitto era bianco: io lo scarabocchio di pensieri. Osservo dalla maschera il fondale in cui ormai abito. Quella maschera che mi tiene bloccata al letto 7, apparentemente come un cane in catene. In realtà è quel tubo che mi dà la libertà di respirare. La sedia a fianco al letto è vuota. Ad ogni ora vuota. Non c’è orario di visita che la riempia. La finestra è un oblò: si affaccia su un piazzale sempre deserto, una chiesa sempre chiusa. Nessuna mano stringe la mia, nessuna voce accarezza i miei pensieri, nessuno sguardo legge l’angoscia nei miei occhi. Palombari fluttuano nel mio fondale. Che siano uomini o donne, giovani o meno giovani, cosa cambia? Uno scafandro come camice e mani di lattice. Nessuna parte del corpo scoperta. Eppure, nello sguardo che io cerco, che io imploro, riemerge l’umanità con la sua scienza inesatta, la sua fragilità e la sua paura. Paura di un nemico invisibile, nascosto dentro il mio respiro». (P.)

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