IL MATTINO
Cultura
23.04.2018 - 13:01
Il nuovo dialogo tra fede, arte e architettura contemporanea
Pellegrinando in Lucania ci capita sempre più spesso di entrare in edifici di culto contemporanei, costruiti negli ultimi decenni, non proprio “belli” dal punto di vista architettonico o come li ha definiti di recente il Cardinal Ravasi «dei garage».
Una novità si affaccia all’orizzonte, un nuovo dialogo tra fede, arte e architettura contemporanea.
«Sull’isola di San Giorgio sono giunti architetti provenienti da origini ed esperienze diverse, dalla vicina Europa con la sua configurazione storicamente variegata dal lontano Giappone dotato di radici religiose originali, dalla vivace spiritualità latino-americana a quella apparentemente più secolarizzata degli Stati Uniti, fino alla remota Australia che in realtà riflette la comune contemporaneità»; cosi il cardinale Gianfranco Ravasi ha presentato la partecipazione, per la prima volta, della Santa Sede alla XVI Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.
La Santa Sede, che rappresenta la Chiesa Cattolica nella sua universalità, entra nello spazio della Biennale di Architettura di Venezia. E lo fa approdando su un’isola affascinante della Laguna, quella di San Giorgio, e penetrando nell’oasi di un bosco non attraverso rappresentazioni grafiche o modelli ma con una vera e propria sequenza di cappelle. In ciascuna cappella (la più piccola misura 10 metri x 7) sono inserite due componenti fondamentali della liturgia, l’ambone (o pulpito) e l’altare, cioè le espressioni della Parola sacra proclamata e della Cena eucaristica celebrata dall’assemblea dei credenti.
Il progetto per il Padiglione della Santa Sede alla XVI Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale deriva da un modello preciso, la “cappella nel bosco” costruita nel 1920 dal celebre architetto Gunnar Asplund nel Cimitero di Stoccolma.
Allo scopo di rendere il pubblico partecipe delle ragioni di questa scelta, verrà allestito uno spazio espositivo, che sarà il primo episodio che si incontrerà all’ingresso del Padiglione della Santa Sede, per la presentazione dei disegni e del plastico della “cappella nel bosco” di Asplund.
Tra gli architetti selezionati che hanno progettato le dieci cappelle e il padiglione espositivo che formeranno “Vatican chapels”, che dal 26 maggio al 25 novembre saranno visitabili sull'isola veneziana all’interno del bosco, troviamo i Pritzker Eduardo Souto de Moura e Norman Foster, ma anche giovani architetti emergenti, come la brasiliana Carla Juaçaba - tra l'altro selezionata anche da Yvonne Farrell e Shelley McNamara (direttori della 16 Biennale di Architettura di Venezia) per la loro «Freespace» - e il giovane, ma già pluripremiato, studio veneziano Map, guidato da Francesco Magnani e Traudy Pelzel, autori, tra l'altro di un progetto di riuso di una casa colonica all'interno delle mura di Ferrara, finalista al premio Medaglia d'oro dell'architettura italiana 2015. Tra gli architetti prescelti per realizzare le cappelle, che andranno a costituire il padiglione - diffuso - della Santa Sede alla Biennale 2018, ci sono progettisti provenienti da quattro continenti. A rappresentare l'Italia, oltre a Map Studio, c'è Francesco Cellini.
Gli altri architetti scelti per l'ideazione delle cappelle sono lo statunitense, Andrew D. Berman; il paraguayano, Javier Corvelán Espínola; lo studio di Barcellona, Flores & Prats, l'architetto e storico dell'architettura giapponese, Terunobu Fujimori; l'australiano Sean Godsell; il cileno Smilijan Radic Clarke.
«La visita alle dieci Vatican Chapels – ha spiegato Ravasi – è una sorta di pellegrinaggio non solo religioso ma anche laico, condotto da tutti coloro che desiderano riscoprire la bellezza, il silenzio, la voce interiore e trascendente, la fraternità umana dello stare insieme nell’assemblea di un popolo, ma anche la solitudine del bosco ove si può cogliere il fremito della natura che è come un tempio cosmico».
Questo primo ingresso della Chiesa cattolica nella Biennale di Architettura di Venezia avviene sotto il pontificato di papa Francesco. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che è stata una sorta di manifesto programmatico agli inizi del suo ministero petrino (24 novembre 2013), egli ha voluto rinnovare una traiettoria classica nel cristianesimo, la cosiddetta via pulchritudinis, cioè la bellezza come strada religiosa, consapevole dell’asserto di sant’Agostino secondo il quale «noi non amiamo se non ciò che è bello». Concretamente, il papa esalta «l’uso delle arti nella stessa opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo linguaggio parabolico».
Papa Francesco conclude così: «Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri».
Nell’VIII secolo, San Giovanni Damasceno, il grande difensore dell’arte cristiana contro l’iconoclasmo propugnato dall’imperatore e da ampi strati della Chiesa di allora, aveva suggerito: «Se un pagano viene e ti dice: Mostrami la tua fede!, tu portalo in chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri».
Iniziamo cosi a parlare di un nuovo incontro tra arte e fede, due mondi che nei secoli passati erano quasi sovrapponibili e che dal secolo scorso erano divenuti reciprocamente estrani. Speriamo che si realizzi quel nuovo connubio che l’architettura nei secoli ha saputo esprimere con naturalezza e che oggi si fatica a riscoprire. Che la Biennale di Venezia sia proprizia.
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